Dopo aver incantato la windy city e gran parte del popolo House elevandone il verbo sotto Mr. Fingers sembianze, Larry Heard nel 1996 decise che era giunto il momento di andare oltre, di staccarsi da quel corpo incandescente ma tutto sommato fisico per esplorare territori nei quali la ragione lascia spazio al pensiero, dove la mente è finalmente spogliata di quei limiti che la società impone. Ogni qual volta non trovate scampo, provate a connettervi con questo pensiero, liberatevi dalle corde e provate ad andare oltre, perché anche se breve, quel momento di libertà potrebbe essere la vostra ancora di salvataggio.
Alien prende forma intorno al talento di uno dei più grandi produttori House di sempre, uno che con il proprio nome, Larry Heard, non ha mai concesso nulla allo show biz, tantomeno alle sue creature musicali, che dopo due passaggi fondamentali come Scenaries not songs volume uno e due, trovano la perfezione in un album che riesce a far convivere il dinamismo del monolite House con la narrativa fuori controllo della Techno in un disco che profuma di perfezione.
Prima di andare avanti però è bene chiarire il significato che assume in questo caso il termine Techno, siamo oltre il beat, oltre il groove, siamo staccati e lontani da qualsiasi forma di pensiero razionale, siamo dove questa idea può definirsi speranza. Ecco tornare il concetto di utopia, non c’è forma, e forse neanche riconducibilità, c’è soltanto quel concetto sempre espresso di un suono mai udito prima capace di alimentare la mente, facendole inanellare pensieri che guardano avanti, che provano ad immaginare un domani diverso dall’oggi.
E’ una combinazione di fattori apparentemente distanti tra loro, è l’unione tra una cultura (quella dell’House) che ha radici in quello che è stato dipinto più volte come il mondo “fisico” della Disco, raccontato come un moto corporeo fatto di sudore e vigore, mentre scavando più in profondità non è poi così difficile coglierne il lato sociale legato al disagio ed all’emarginazione. Molto più della Techno, o forse semplicemente avvenuto prima. Ed il sogno Techno appunto.
In questo album Larry Heard trova un raccordo preciso tra la fiamma groovistica e le melodie estranianti, realizzando un ibrido che nella sua perfezione è narrativa pura.
Non bisogna andare troppo lontano, ci sono undici minuti abbondanti di scenario futuro in un brano che già dal titolo rende chiara la sua natura. Galactic Travel Suite, immaginate queste pulsioni sintetiche lasciate defluire con lentezza in un vuoto nero, poi riempite man mano questo spazio con tappeti di suono astratto, tremori elettrici, cascate do note celestiali ed altre più massicce e corporee, oppure navigate con avidità tra le vibrazioni della chitarra iniziale in Cosmology Myth, vi renderete conto di quanto le barriere possono esistere soltanto all’interno di sistemi definiti, a volte necessari, ma dai quali è bene fuggire ogni tanto, per provare quel brivido dietro la schiena che brilla di un significato enorme, la libertà
Alien è un disco anomalo per Chicago, è un disco coraggioso con il quale Heard ha elaborato le intuizioni della cugina Detroit, assorbendo anche molto dalla scuola inglese e dal jazz psichedelico. In maniera assoluta possiamo anche ammettere che questo non sia certo il capolavoro con il quale verrà ricordato, non importa, qui però possiamo cogliere la voglia di esplorare in completa autonomia di un artista che a questo punto della storia aveva già la strada spianata da circa dieci anni di successi, e che quindi avrebbe potuto benissimo continuare a raccogliere con scelte di gran lunga più semplici. Ed anche se dopo tutti questi anni in alcuni di voi l’esigenza dell’ignoto ha ceduto alla fredda schiettezza della realtà, Alien rimane in tutto e per tutto un disco estremamente musicale con il quale è sempre un piacere passare del tempo.