Le chill-out room sono state territorio fertile per creatività e sperimentazione durante tutti gli anni ’90, non erano soltanto sale dove far suonare il Dj pr o le seconde scelte come pratica consolidata insegna oggi, erano luoghi della mente e dell’anima, covi nei quali gli artisti potevano liberare i loro suoni più intimi, il crocevia da dove partiva tutto ciò che doveva poi servire in maniera funzionale ai luoghi, invece, dedicati al ballo. Sono sempre più convinto che questo consolidato approccio così puro e genuino sia stato il fuoco centrale di quanto successo in techno, trance ed anche in house nel territorio europeo durante quell’irripetibile decennio. Non è un caso se la componente melodica, gli arrangiamenti più arditi, le stesure più complesse in ambito dance siano fiorite proprio nel momento in cui il peso dato alla musica “per la mente” era maggiore e soprattutto insito in un contesto di normalità.
La musica ambient era (per gli artisti che si cimentavano nel produrla) tanto territorio di sperimentazione ed autentica scuola nella quale testare le funzionalità delle macchine, quanto fertile terreno narrativo nel quale far emergere i lati più profondi del proprio carattere che non avrebbero potuto veder luce in contesti orientati alla dance. Sono fuori portata, dunque, i casi di produttori techno, trance o house che eseguivano delle session ambient, o avevano degli pseudonimi dedicati alla creazione di musica d’ascolto, ancor più presenti, le cosiddette chilo-out room, queste sale completamente dedicate a tali sonorità che non mancavano mai nei festival, nei rave ed in tutti i club.
Per raccontare meglio il fenomeno ho selezionato un disco se vogliamo secondario agli ufficiali riconoscimenti del genere, se non altro perché scintilla nel mezzo di fuochi di gran lunga più ardenti (vedi la discografia degli Orb, le compilation Chill Out Or Die ed altre centinaia di dischi e compilation ambient pubblicati durante quegli anni). In questo disco troviamo però due elementi che possono ben spiegare tutta la premessa fatta a monte, quello musicale e quello della dimensione live. Il progetto DP-SOL è infatti la collaborazione tra Oliver Lieb e Dennis Serratou, entrambi titani della trance, della techno e dell’acid, che in questo progetto si esibiscono live in una session registrata ad Oslo il 19 febbraio del 1994 improvvisando il tutto con l’utilizzo, nell’ordine, di Roland TB-303, SH-101, Juno 106, Akai S-1100, Digitech DSP-256xl Effect-Unit e Kawai Q80 Sequencer.
Settanta minuti di musica che ascoltarli, di nuovo, oggi, lasciano l’amaro in bocca, perché assistere ad un suono così mutante eppure estremamente coeso (considerando che di improvvisazione live si tratta) ci fa render conto di quanto si, parliamo soltanto di un lontano ricordo.
In questo flusso la materia acida si fonde nell’ambient creando grovigli intricati, pensate a dei corpi che si abbracciano, rotolano insieme e si fondono in un’unica materia, è cibo per la mente, energia vitale che appaga tanto gli artisti quanto i fruitori. Gli scenari sono molteplici, si va dai grandi pads aerei dell’ambient-techno made in uk fino alla goa trance popolata di sviscerati assoli di 303 passando per intriganti speziature dub. Il ritmo è sempre secondario ed accentuato solo in rare occasioni, quel che conta è la scrittura, far coesistere strati di suono cercando di renderli umani grazie alla melodia, far scivolare le pieghe sonore tutto intorno ai corpi dei fruitori per poi inondarne la mente con le vibrazioni. Esatto, esistevano posti del genere, esistevano quasi ovunque, e la musica era più bella.