Jochem George Paap, aka Speedy J, fin dagli esordi ha connotato il suo sound con forti toni di sperimentazione, innovando mentre la stessa scena s’innovava, mostrando quindi un approccio indubbiamente avanguardistico in un contesto, quello della nascita in Europa del genere techno ad inizio dei 90’s, di per se già inondato dalle onde sonore rivoluzionarie provenienti oltreoceano e oltremanica.
Alfiere della techno europea da più di vent’anni, Paap si è spinto verso tutte le derivazioni del genere, dall’ IDM all’industrial, dall’abstract al breaks, soprattutto con le incisioni per la Nova Mute nel periodo 1997-2005.
Peccato per coloro che lo conoscono solo per “Pullover”, fatidica marcetta tanto famosa nell’era rave ed adottata come inno dalla frangia più politicamente deviata di quegli anni (nonché dai tifosi stessi del Feyenoord, squadra di calcio di Rotterdam dove è originario Paap, nel cui stadio viene ancora oggi suonata nell’intervallo). Per chi ha scavato di più, saprà che l’uomo conta a oggi sette album e svariati EP sulle etichette più influenti del tempo.
Ma il periodo su cui voglio far ricadere l’attenzione è proprio quello dei primi anni. Tra il 1993 ed il 1995 escono tre long play fondamentali: “Ginger “ ‘93 Plus 8/Warp, “G.Spot” ‘95 Warp e “!live” ’95 Warp. Ci sarebbero pagine e pagine da scrivere su questi monumenti sonori che spaziano tra techno, trance, ambient ed experimental, e che andrebbero letti ed analizzati tutti e tre insieme, simili anche per la struttura compositiva nella quale si alternano scritture in 4/4 ben definite con “filler” ambientali brevi ma di un’intensità tale da toccarti nel profondo.
“Ginger” è il primo album di Speedy J pubblicato nel 1993 dalla Plus 8 di Richie Hawtin e John Acquaviva quando l’asse Rotterdam-Windsor era iniziato già due anni prima con la pubblicazione di una serie di EP incendiari, fra tutti il “Rise” EP con all’interno “Something For Your Mind (live in Berlin)” altro pezzo techno rave esplosivo. Un album quindi che consacra il producer e dj europeo tra in grandi di quel momento, facendolo entrare nel gotha in cui tutt’oggi è attore e protagonista. Ma non solo. Anche la Warp è colpita dalla classe dell’olandese e nello stesso anno ottiene la licenza per pubblicare l’LP includendolo della mastodontica serie Artificial Intelligence a testimonianza della caratura del lavoro anche sul fronte electronic listening.
Si apre proprio con la traccia che da il nome all’album. Giro claustrofobico, bleep stellari su cassa e percussioni della 909 innestano un freddo tribalismo psichedelico scaldato solo dall’affacciarsi di quei tappeti eterei tanto utilizzati in quel periodo storico. Un pathos primordiale che prepara e suggestiona la mente. A chiudere il lato “Fill 4”, un breve passo verso il paradiso, appena due minuti tra lenti tamburi, note distillate e ritmi balearici.
Sul secondo lato “R2 D2” riprende in parte la melodia precedente mentre attraversa territori lunari con un balletto di bleeps e frizioni più metalliche, intercalato da brevi riff ambientali su un’andatura downtempo a dir poco idilliaca. Ora è tutto pronto per iniziare a piangere. “Fill 14” è una distesa di lacrime che si vaporizzano man mano che toccano il suolo, mentre tutto te stesso spera che quei quattro minuti e cinque secondi si estendano all’infinito. Un eden rigoglioso e splendente di melodie e pad atavici che sorgono e si elevano, voci strecthate, archi, stringe luminose e lussureggianti solfeggi analogici. Poco dopo sale una tenue andatura breakbeat che magistralmente supporta e da corpo al tutto, accompagnando la partitura verso la fine.
E’ la celebrazione dell’epica ambient. E’ il cuore che viene attraversato da commozioni mai conosciute. Non a caso “Fill 14” finisce anche su alcune compilation di quegli anni, tra cui quelle dal titolo Outer Space Communications (Vol. 2 in questo caso) su Disturbance, sub label della Minus Habens di Ivan Iusco, etichetta pioneristica che ha dato un contributo immenso, ma poco riconosciuto, nella divulgazione dell’elettronica in Italia nei primi anni novanta.
Segue “Basic Design” che allude e mostra l’estetica della trance, quando ancora il genere non era demolito dal “twisting” che lo connoterà e farà deviare verso il territori lisergici della goa trance. Cassa soffusa, basso roboante ed aridi loops si intrecciano su un trama percussiva che via via si infittisce per poi rilassarsi su un finale ambient.
Sul secondo vinile ci imbattiamo su qualcosa che segna il tempo, un’era, il ventesimo secolo tutto. “Perfect Pitch” è una locomotiva che si fa strada tra ferraglia e scintille . Un complesso crogiuolo di suoni stridenti che avanza, una fitta tessitura ritmica, synth al laser, graffianti giri di bassline fino all’esaurimento in chiave cosmic. Psichedelia techno a tutt’oggi inarrivabile.
“Flashback” è diretta, funk, un gioco groovistico arricchito da vortici e ripartenze che muovono le masse. Semplicemente efficace.
“Pepper” è la traccia dance più famosa dell’album. E’ puro splendore trance, dotata di un misticismo infinito con i suoi arpeggi celestiali che avvolgono il corpo e lo spirito. Sono le tastiere analogiche, il loops che si sovrappongono e che creano una progressione di amore, gioia, malinconia, energia sublimata dal senso del viaggio estatico. L’elevazione verso Dio e il cosmo, il miracolo dell’ “Age of Love“ che si ripete, le onde del mare che appaiono e scompaiono, la dissolvenza del tutto ed ancora la mano degli angeli che ci riporta tra le nuvole. Il Mondo potrebbe finire anche adesso.
Chiude l’intera opera “Beam me up !” con un incipit housey che stupisce ed un groove che fa muovere il culo di brutto. Poco dopo prende scena un freestyle kraut di tastiere e synth restituendo una traccia unica, una sorta di cosmic house effimera ed elegante.
Paap ci ha regalato lavori di una bellezza autentica e immortale. Lo incontrati al Berghain quache anno fa, dove si esibii all’interno dello showcase del sua label Electric Deluxe, progetto piattaforma che è anche blog, agenzia di eventi e di booking. Le sue esibizioni live hanno un elevato tasso di tecnologia ma restituiscono un output hard techno fruibile essenzialmente nel dancefloor e dai contenuti che al momento apportano poco valore aggiunto. Non lo condannerò mai per questo ma in cuor mio, e sono sicuro in quello di molti, spero che prima o poi dal suo smisurato genio tiri fuori ancora un album in grado di scuotere e di segnare anche il tempo in cui viviamo.