E’ esistito un lasso temporale durante il quale il suono della techno e dell’ambient hanno viaggiato su coordinate inafferrabili, un periodo dove ascoltando questa musica sembrava veramente aver perso il controllo e la percezione di cosa fosse reale e cosa no. Erano i primi anni ’90 e Dio benedica l’Inghilterra, perché il fulcro di queste intuizioni è partito proprio da li, da un manipolo di produttori che ha messo a segno una serie di interpretazioni illuminate dell’originario suono di Detroit.
Se nel Michigan sono vissute la speranza, l’utopia e la denuncia sociale, nel Regno Unito è stata operata una scissione da quanto considerato terreno per concentrarsi su atmosfere virtuali, spingendo quei suoni verso definizioni nuove, variopinte, futuristiche.
Tra i maggiori interpreti di questo approccio anarchico alla musica possiamo annoverare sicuramente Edward Handley, quello che sarebbe poi diventato un gigante dell’elettronica mondiale con il progetto Plaid condiviso con Andy Turner, ma che nei primi anni del decennio virtuale metteva in posa mattoni fondamentali tanto con i Black Dog Productions (sempre in gruppo), ma soprattutto con il suo alter ego Balil, pseudonimo che gli ha dato i natali produttivi e con il quale ha prodotto i brani più liberi e futuristici della sua carriera e che rientrano in tutto e per tutto in quel microcosmo di “Artificial Intelligence” che è stato il battesimo al mondo del suono elettronico inglese.
I brani (ed i remix) prodotti da Handley con lo pseudonimo Balil sono contenuti in alcune delle più belle compilation elettroniche di sempre, basta citarne due come “The Philosophy Of Sound And Machine” e “Objets D’art“ per lasciarvi intendere il giusto peso che la sua musica occupa.
E’ mancato sicuramente un album, considerando che il materiale e le idee di certo non sarebbero state un problema. Qualcosa però arrivò. Quattro brani pubblicati dalla storica Rising High Records di Caspar Pound, tutti molto lunghi e pubblicati sia in vinile che in CD lasciando sicuramente l’amaro in bocca per il mancato compimento del lungometraggio ma con la certezza di avere tra le mani l’unico disco prodotto e pubblicato interamente a nome Balil (gli Ep pubblicati in precedenza erano tutti split e le tracce isolate sono contenute in varie raccolte)
Rosery Pilots
Un arpeggio che parte dal cuore, scinde l’uomo dal suo viaggio, decolla ed entra in techno in quei fantastici break-beats che tagliavano in due ogni logica dance per farci ballare col cervello fuori di senno, in quello stupore che chiedeva palesemente: ma cosa cazzo è stà roba?!
Un turbinio di suoni luccicanti, caldi ed assemblati in una sequenza che anticipava quell’ipnosi denominata poi trance.
Avidya
Magie d’oriente con i bassi spiegati, la contaminazione è sempre stato il nutrimento principale dell’elettronica inglese, ce lo hanno insegnato gli Orb mentre Balil confezionava i primi prototipi europei di techno-socializzante. Qui in un pazzesco groove che entra in acido con sitar e synth appoggiandosi a congas e percussioni in uno dei brani più drammatici ed allo stesso tempo alieni della storia della techno.
Parasight
Un missile senza precedenti. La 303 diventa arma in un infuocato vortice trance di una raffinatezza da lasciar senza fiato. Brani cosi ti fanno impallidire di fronte alla pochezza del suono attuale. Metteteci poi tutto il convivio di rifiniture sofisticate ed avrete il quadro completo.
Island
Tropicali essenze d’ambiente che si dipanano con il passare dei secondi, mentre un verme acido fa la sua apparizione ed instaura una macabra danza tribale con i bassi. Entra un pad, uno di quei tappeti che hanno rappresentato il paradiso in piu occasioni nell’universo elettronico. Qui è un messaggio di pace e rende all’ambient le giuste proporzioni.
E’ stato intenso, continua ad esserlo. Quanto resta in vita un disco di musica elettronica? Sentir questo vien da pensare all’eternità.