In Italia, e specialmente a Roma, avevamo conosciuto gli Edge Of Motion già nel 1992, quando la loro hit Set Up 707 veniva suonata in tutti i rave e party della capitale techno. Il brano era un mostro techno-acid di quelli da grande tendone, con le batterie elettroniche impazzite in improbabili acrobazie e la 303 a tagliare in due il groove con una virata acid di immane potenza. Ancora oggi, uno dei brani techno ai quali è impossibile resistere. Il disco in questione venne pubblicato dalla storica Djax-Up-Beats, label che ha segnato solchi indelebili in molteplici direzioni, da quella techno ed acid a quella hardcore e quasi inspiegabilmente anche in quella ambient ed house.
Pensare che soltanto l’anno successivo i due produttori olandesi avessero rilasciato un album di debutto come Planet Gong Realities sarebbe stato per chiunque impensabile.
Dietro il progetto troviamo Dylan Hermelijn e Gert-Jan Schonewill, il primo passato poi alle cronache come 2000 & One, ma autore di una quantità illimitata di progetti collaterali, il secondo, altro infaticabile produttore. Entrambi poi rigenerati in altri progetti insieme dei quali ricordiamo con maggior enfasi Mindscape, con il quale pubblicarono un omonimo album nel 1994.
Quel che è bene evidenziare, comunque, è che durante la prima metà degli anni ’90 vi erano delle attività frenetiche da parte di alcuni personaggi chiave europei nel produrre continuamente musica sotto forme differenti, esperimenti che nel lungo periodo hanno scritto la storia musicale elettronica legata ai principali generi orbitanti intorno al mondo dance.
Planet Gong Realities fu subito una cosa diversa, e quando in quel periodo un artista cambiava radicalmente strada lo potevi capire da un fatto importante, il disco veniva pubblicato soltanto in CD, quel che accadde appunto a questo album, che, sempre per la Djax-Up-Beats segnava il debutto sulla lunga distanza del duo olandese.
A colpire da subito fu il mood musicale, che per chiunque venisse da Set Up 707 era radicalmente opposto, essendo questo un insieme di composizioni ambient-techno focalizzate sulle atmosfere e, anche quando i brani affondavano in grooves techno, questi erano più “addomesticati” e scusi rispetto alle festose atmosfere dei devastanti brani su singolo.
Quattordici i brani, dei quali alcuni lunghissimi, delle autentiche suite oscure che mostrano insieme una grandissima qualità nella scelta dei suoni ed una capacità di composizione per così dire, cinematica che all’epoca (siamo nel 1993) ha segnato la strada a molta ambient music a venire.
Sono due a mio avviso i brani simbolo (all’interno di un album eccellente per la sua interezza), questi sono: Quantity Of Motion, un grandioso lungometraggio techno-trance che fa leva sull’ipnosi per srotolare un groove perfetto tra 303, 909 e tastiere lisergiche. Poi c’è Planet Gong Realism, una sorta di serpentone ambient composto di arpeggi lenti e corrosivi che lungo i suoi quattordici minuti riesce a far capire chi è riuscito veramente a far sua la scuola cosmica tedesca di personaggi come Klaus Schulze per continuarne il lavoro aggiornandone le tecnologie.
C’è un solo episodio all’interno dell’album nel quale sfugge una certa ferocia acida, si chiama Oriental Program, parte quasi in sordina per poi evolversi ed aprirsi in un trita-sassi acido che si porta dietro anni di Emmanuel Top a venire.
L’insieme è lo specchio delle possibilità che questi autori sondavano senza star troppo a pensare a cosa conformarsi, ci sono intere discografie che parlano chiaro, raccontano una storia che un tempo funzionava a dovere, con i produttori a sperimentare ogni sorta di ardita combinazione, realizzando musica che forte di quell’apertura e di quelle idee incontaminate ora, dopo venti anni, gode del dono dell’immortalità.