Detroit, più o meno gli stessi anni, orde di sperimentatori lanciavano nobili e potentissimi segnali nel cielo.
Inevitabilmente le due correnti energetiche cominciarono a comunicare, creando di fatto quello che ad oggi appare come il più eccitante e significativo punto di svolta che ha segnato il passaggio dal suono acustico a quello elettronico.
Jamie Bissmire, John O’Connell e Lucien Thompson si conobbero da ragazzi, nel nord di Londra, il primo già appassionato al djing e totalmente preso dalla forza esplosiva che percorreva l’inghilterra di quegli anni, finita l’epopea rave ed in pieno mutamento tecnologico, gli altri due legati ai movimenti di writers e breakdancer. Nacquero i Bandulu.
Se c’era una cosa che poteva fungere da collante in quel periodo era la musica, ed in certi ambienti tutto era tradotto in un suono che fosse ipnotico e potesse far compiere il viaggio (in quel tempo saldamente coadiuvato dall’utilizzo di droghe).
I tre lavorarono mettendo a punto una miscela che prendeva come riferimento la cristallina potenza della techno proveniente da Detroit, miscelandola con gli strascichi post-rave lasciati da gente come gli Shamen ed ancora alle derive ritmiche tribali che potevano contare come rappresentati e luminari i PWOG.
Senza contare che in quegli anni c’era tutto un fiorire di Orb, B12, Black Dog, FSOL e via percorrendo, quindi quell’ispirazione di per sé vergine poteva godere nutrimento ovunque, bastava soltanto tendere l’orecchio.
I Bandulu fondarono così la storica Infonet Records, al 93 di Ravington Street, e stabilirono da subito una splendida connessione con la scena detroitiana, pubblicando un’emblematica raccolta dal titolo “313 Detroit”, che comprendeva artisti del calibro di Kenny Larkin, Carl Craig, Eddie “Flashin” Fowlkes, Juan Atkins ed altri ancora.
E parallelamente all’attività della label continuarono a sperimentare sui suoni, giungendo poi all’album di debutto dal titolo “Guidance”.
A distanza di quasi un ventennio, l’album mantiene intatto tutto il suo fascino, raccontandoci in maniera dettagliata quell’atmosfera lunatica ed innovatrice che caratterizzava quel tempo.
Resta una techno profondamente ispirata, basata su una furia ritmica demolitrice illustrata sin dalla traccia d’apertura, “Messenger” che inizia con dei cori apocalittici trascinati dal ritmo ferreo già pervaso dai tic break poi divenuti un emblema tipicamente uk.
Tutto l’armamentario analogico tarato in maniera che il suono risultasse caldo e riflessivo, coadiuvato per giunta da strumenti classici come chitarre e percussioni.
Carl Craig si innamorò da subito dei Bandulu, trovandosi in perfetta sintonia con quell’approccio angelico alla composizione.
In tutti i brani si respira infatti quel senso di lussureggiante e vigoroso contenuto musicale, grazie ai folti strati di suono che si accavallano e susseguono formando un unico tunnel delle meraviglie.
“Revelation” è proprio illuminante in questo senso, un brano che sfrutta la tipicità di un brano techno 4/4 per poi perdersi in rivoli analogico/strumentali che ne decretato in fine un formato canzone a dir poco unico.
In “Pacekeeper” assistiamo inermi ad un’impressionante evoluzione che parte da un eterea costruzione melodica in chiave ambient per poi esplodere in un treno ritmico di spaventosa potenza.
Stesure complicate ed impegnative che purtroppo ai nostri giorni hanno cessato d’esistere, in un processo di filtraggio che ha portato molta della techno attuale ad assomigliarsi completamente, facendo perdere quello status proprietario che poteva rendere immediatamente riconoscibile un artista o gruppo musicale.
Nella musica dei Bandulu, torno a ripetere, era forte l’accento di componenti tribali, grazie all’utilizzo di vocals particolarmente ispiranti e percussioni suonate live, ascoltando “Gravity Pull” potrete ritrovarvi in queste parole e perdervi completamente in essa.
Anche Carl Craig comprese da subito la potenzialità di questo cocktails ed infatti nell’album è contenuto un suo remix di “Better Nation” che sancisce il definitivo punto d’incontro tra la scuola uk ed suono di Detroit più visionario.
“Better Nation” è una notte di mezz’estate, calda e con il cielo punteggiato di stelle, parla al fisico attraverso il ritmo ed al cuore grazie ad una serie di illuminate intuizioni che passano dagli stop&go alle sospensioni melodiche tipiche del genio di Detroit, per poi affondare la lama con un flusso di arrangiamenti celestiali.
I Bandulu hanno poi proseguito la loro strada spogliandosi in parte del loro influsso nativo, lasciandoci altri dischi di più selettiva interpretazione, mentre in questo debutto troviamo un’essenza che rimane una delle pagine più sincere di musica techno mai ascoltate.