Djax-Up-Beats era la perdizione, un messia che ci fece capire tante cose, l’origine del fomento in quei maestosi anni di puro Acid sound, un suono che ha segnato l’Europa in lungo e in largo creando dipendenza. Ma Djax-Up-Beats è configurata nella mente di chi scrive come un’entità (che a differenza di molte altre label impressionate dai facili guadagni che in quegli anni era solito fare imbroccando il trend giusto) capace di guardare oltre, superando di gran lunga alcuni concetti mono-stilistici dei collettivi dell’epoca per sondare la materia alla ricerca costante di spunti, tracce, segnali che potessero permettergli/ci di espandere i loro/nostri orizzonti, e per certi versi possiamo affermare che quegli orizzonti erano dei castelli di sabbia su un bagnasciuga.
Autentiche parate d’artisti, Terrace, Edge Of Motion, Like A Tim, Acid Junkies, Random XS, Dj Skull, la stessa Miss Djax a rappresentare un Europa a suo modo totale, che sapesse riflettere gli stimoli in musica techno visionaria. Poi quel grazie infinito che non possiamo non omaggiare alla casa madre del vecchio continente che per prima ci ha saggiati della sapienza di Chicago, acquistando i diritti di grandezze innominabili come Altered States di Ron Trent tanto per farvi un esempio, pubblicata in un secolare doppio vinile arricchito da 4 stellari remix. O se proprio vogliamo farci del male allunghiamo il ricordo a “151” di Armando, remixata e confezionata con un’ unreleased mix di “100% Of Disin’ You”.
Un punto di riferimento insomma, uno scoglio che in una maniera o nell’altra era teatro di scontro per tutti i passanti della più grande stagione musicale europea.
Se c’è un disco però che è riuscito a farmi apprezzare oltre ogni riserva la Djax-Up-Beats, questo và cercato nelle pieghe più oscure della faccenda, nella storia di un produttore che alla luce di questa scialba modernità è il custode dei migliori segreti della techno e dell’electro: Frank De Groodt.
The Optic Crux è il demonio nel suo habitat naturale, un disco che si astrae totalmente dall’ottica demolitrice della label olandese per gridare le sue ragioni negli inferi, supportato dalla magnificenza produttiva di un genio che da lì in avanti illuminerà la via attraverso passi sempre avvolti dal mistero.
Un disco che piangiamo ogni giorno, da 17 luridi anni, nel non averlo mai visto stampato su vinile, una sorta di flagellazione che De Groodt ha voluto infliggerci per farci saggiare amaramente l’inarrivabile.
Due parti, questo album è formato da un primo e da un secondo tempo, due mondi che si cercano ma non riescono a toccarsi, ma partiamo dal principio. Quando ha inizio il tutto, con “Mesmeric”, in un gioco di piccoli bagliori e segnali alieni all’interno di un tunnel dove si trema per la paura, è un intro lunga da affrontare con coraggio fin quando, a metà brano inoltrata, non sono i bassi a portarci conforto e farci ambientare dentro una magica suite deep techno dai contorni fondamentali.
Siamo ormai nel buio profondo, dove a trascinarci nel viaggio è questa volta l’imponente “La Comedia”, con i suoi affondi di organo, i synth tagliati ad un passo dall’oblio ed una ritmica sbilenca a rafforzare il climax già di per sé tesissimo.
Una zona dove techno e psichedelica cominciano a far sbocciare la loro unione, rappresentata nella magia di un brano come “Unknow Sunset”, autentico crocevia trance ubicato nelle oscure sedi della mente, una discesa inarrestabile che trova sfogo nudo e crudo nella techno originaria di “Tension Withdraw” , brano che descrive il suono nativo di Detroit con precisione e smodata devozione.
Nella posizione numero cinque, proprio all’esatta metà del disco, “Mind Tranfer” lascia intuire tutto sin dal titolo. E’ il momento del passaggio, De Groodt trasferisce letteralmente l’attenzione, le emozioni, la tensione e quel che resta delle gambe in una nuova dimensione.
E’ il momento di dedicarsi all’ ambient.
Da qui in avanti, se volete commettere errori, evitate di chiamarla magia. Pads che sono miele per ogni goloso, tappeti che si susseguono creando soffici melodie, piccoli inserti luminosi come nella più classica delle rappresentazioni per ambiente. Due numeri intensi come “The Forecaster” e “The Optic Crux” a spianare la strada, poi avviene qualcosa che và oltre l’immaginazione: “The Forgotten”. Dieci minuti della vostra vita a contatto con la verità. Uno dei brani ambient più belli di sempre, capostipite di un movimento poi sviluppatosi in orde di micro etichette ad ampio raggio in tutto il mondo.
“The Forgotten” è una massa che assorbe nel suo cammino i particolari più interessanti, partendo da un semplice tappeto per diventare man mano un oggetto complesso che conserva intatti tutti gli echi della notte e le particelle sonore aggregatesi nel cammino.
Frank De Groodt segnerà di nuovo la storia, anni dopo, con un album di portata atomica come “Sonar Bases 4 – 10” pubblicato sotto lo pseudonimo Sonar Base e punteggerà l’ignoto con progetti più o meno dichiarati che vi lascio la fatica di scoprire da voi.
Optic Crux è il Nero in abito da sera.