Non saprei dire con esattezza cos’è potuto succedere di tanto forte, forse semplicemente una serie di circostanze che hanno concentrato la presenza di tutta una serie di menti aperte e libere (qualcuno ironizzerà che sono state le canne) e magari ci sta anche quello ed anche di più.
Il punto è uno, ed è reale e tangibile, se oggi possiamo trovarci a parlare di Delsin Records, M>O>S, di Intergalactic FM, della Clone, della Viewlexx, della Crème Organizzation e via dicendo, le origini di tutto vanno cercate negli anni ’90 periodo nel quale i fili dell’alta tensione olandesi erano pregni d’energia e vitalità.
Il nome di Erwin van Moll forse suonerà nuovo a molti, eppure verso la metà degli anni in questione, il suo era un riferimento continuo per la scena olandese. Erwin era un animale solitario, di quelli che restano in sordina per il tempo necessario, non a perder tempo ma semplicemente a lavorare ed aspettare, aspettare il momento, aspettare che quel suono tanto inseguito diventi finalmente reale e rappresentativo della sua anima. Il suono perfetto, quello che consiglio a molti d’aspettare invece di sputar fuori merda di continuo, quello che ti fa ricordare dopo 20 e più anni, quello che ti permette d’esser citato e che mai entrerà a far parte di un calderone, qualsiasi esso sia. Un tempo c’era ancora quel sano valore che è l’umiltà.
Max 404 è stato l’alias principale di Erwin, l’alter ego nel quale ha ricondotto tutte le esperienze sperimentate sotto altri pseudonimi, portandolo a definire, nel tempo, un disegno completo della sua complessa personalità. I suoi lasciti prima dell’album sono pochi, illuminatissimi e ben distanziati nel tempo, il colore comincia a farsi ben delineato, ma la cosa più giusta sarebbe parlare della gamma di colori, perché max 404 converge a sé l’intera tavolozza, scegliendo con cura le tonalità e gli abbinamenti.
Tonalità, abbinamenti? Di cosa parliamo? Non preoccupatevi, continuiamo a parlare di musica, soltanto di quella, e quel che c’è nel suono di Erwin è un concentrato di techno, ambient, sfumature d’occidente e d’oriente, rock psichedelico e soprattutto una visione d’insieme talmente forte e coesa d’aver dato alla luce un album meraviglioso ed inscalfibile come Love & Mathematics.
Siamo nel 1995 e dopo due singoli premonitori come “Convulsion” e “Void” arriva il lungometraggio, ancora per la “Eevo Lute Muzique”, una delle label simbolo per la techno di qualità in quegli anni, creata da Stefan Robber e Vladimir M, il primo inutile dirvelo, genio assoluto con mostri sonori come Terrace e Florence, il secondo più schivo ma in egual maniera importantissimo artista in seguito pubblicato anche dalla Planet-E proprio in uno split insieme a Robber.
Love & Mathematics rivela subito le sue intenzioni aprendo con un intro profonda ed atmosferica dal titolo “Quiddity (First Visit)”, nel suo tappeto melodico la cifra stilistica di una visione senza tempo e senza confini, l’apertura verso un modo di pensare che intende la techno come un’esperienza completa nella musica e non soltanto in un elemento di confine da alcuni aimè confinato soltanto al dancefloor. La chitarra qui ne esprime il sentimento ed anche il ritmo aprendo poi le porte che ci proiettano in un lungo viaggio.
“Trapped” è l’inizio del tunnel che ci porta nel sottosuolo, tra riverberi dub ritmiche ovattate ed una crescente anima tribale che si fa man mano più scandita col passare dei secondi, diventando nella metà del brano materia viva con la quale conversare. E’ un passaggio dovuto, scendere in profondità per poi risalire con lentezza ammirando ogni strato ed ogni piccola variazione.
La successiva “I Do Not Feel Like An Alien In This Universe” è un incanto ambient fatto di synth dolci che si susseguono creando una trama fitta e coloratissima, con sfumature sottili di colori caldi, un brano scritto insieme a Jochem Peteri (Newwordacquarium), che d’un tratto esplode in un mostro techno astratto proprio alla maniera di Peteri, lasciandoci sbalorditi ed estasiati.
Dopo un altro passo techno come “Void” è di nuovo un cambio di rotta a segnare un tassello di diversità: “The Case Of The Creeping Fox Terrier Clone”. Un brano downbeat oscuro basato sullo scratch e su frequenze sporchissime che si alternano a cavallo di un impianto ambient/drone malvagio. Tutto defluisce poi nella stupenda “Across The Street”, ballata down tempo con la voce sospirata di Erik van Dijsseldonk, un piano deciso, un ritmo ed un tempo che riporta alla mente i Boards Of Canada.
Si prosegue ancora con la raffinatissima “Quiddity (Second Visit)” e questa volta è la chitarra (sempre di Erik van Dijsseldonk) a disegnare le coordinare in odor d’oriente del brano, in una dimensione fiabesca ad alta tecnologia.
“Steinfeld, Summer, 1982” è forse uno dei brani più belli dell’album, un percorso ambient che parte dalle voci in lontananza che ricordano campi di coltivatori sotto il sole per poi lasciar spazio alla crescente ritmica fatta di tamburi ed altre sonorità analogiche.
“How To Bluff Your Way Into Techno Music” è l’omaggio a Detroit, un brano techno che sfrutta la ripetitività vocale, la cassa ed i giri melodici tipici della motor city per esser riletta in un contesto europeo molto metodizzato.
Via così, fino al finale, 14 brani per un viaggio di quelli che lasciano veramente tutto. Sarà per questo che dopo aver prodotto questo incredibile album di max 404 grandi notizie non se ne sono più avute, se non in un recente disco per la Eskimo Records e per un disco di house down tempo prodotto come Clashing Egos insieme a Jan Vanderlest dal titolo Rubicon.
Love & Mathematics rende grazie alla techno definendola musica.