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Den Haag
Greatest Pills /

Yoni My Little Yoni

  • Label / Source Records
  • Catalog /
  • Format /
  • Released / 1994
  • Style / , ,
  • Rating /
    10/101
Yoni - My Little Yoni
Il ruolo giocato dalla Source Records in ambito elettronico va collocato nella parete dei mattoni indispensabili della conoscenza. D’altronde a capitanare la nave troviamo due fuoriclasse indiscussi come David Moufang (Move D)  e Jonas Grossmann (Deep Space Network) che a partire dai primi anni ’90 ha contribuito in maniera determinante a ridisegnare gli stilemi della techno tedesca fornendo spunti e collegamenti ideologici tesi a raccordare in maniera definitiva un asse scomposto che vedeva partecipi tre realtà fondamentali come quella tedesca, quella inglese e quella americana con base a Detroit.
Il lavoro della Source a mio avviso va analizzato proprio in quelle declinazioni dance ristrutturate, perché se da un lato troviamo degli ottimi spunti ambient, downtempo e future jazz sempre con ottica sperimentale espressi in ottimi dischi meditativi come “Transporter”, “Kunststoff” o ancora “Pieces For Prepared Piano”, dall’altro ci troviamo di fronte ad un autentica proposta innovatrice che in ambito dance è riuscita, forse nella maniera meno invasiva, a coniugare il verbo techno ed house in una serie di tempi influenzati tanto dall’epica detroitiana quanto dalla scienza IDM inglese e dall’estetica minimale.

Se dovessi trovarmi però a dover scegliere un album che rappresenti in maniera completa l’ampia gamma di sonorità/tempi/stili proposta negli anni dalla Source, la mia scelta cadrebbe sicuramente su “My Little Yoni”, un album pubblicato nel 1994 da un’entità chiamata appunto Yoni e che faceva riferimento a due nomi quali Tim Hutton e Thomas Melchior.
Il primo un formidabile bassista che sin dagli anni ’80 ha prestato la sua arte in innumerevoli progetti dance e non arrivando persino a lavorare con Groove Armada, Plaid e Paul Oakenfold per citare i più famosi, e che ha contribuito a formare diversi gruppi come Soul Capsule, Vulva, Sugardaddy ed altri ancora. Il secondo un produttore che nel tempo ha saputo far evolvere una personale visione house un tempo ruvida e malata in un suono più composto, ipnotico e minimale soprattutto attraverso le produzioni a nome Melchior Production.

“My Little Yoni” è un album profondo, dove l’ispirazione ha tratto nutrimento a 360° nel background dei due artisti e in tutto il contorno europeo che nel 1994 era nel pieno fermento. Già dall’iniziale “Creepy Bitch” è evidente come l’universo techno Detroitiano fatto di lunghe spirali melodiche e ritmo dal retrogusto funk sia stato posto in parallelo ad alcuni timbri sonori collocabili nell’area inglese in quella zona techno/ambient abitata da figure come quelle dei Black Dog.
“Spirit of Adventure” sponge il piece sull’acceleratore, aprendo al ritmo dopo una spettacolare intro spaziale che lascia poi spazio alla plasticità dei grooves all’estetica analogica ed alla potenza “rotonda” che la techno sapeva ancora mostrare. “Black Forest” unisce magicamente trame ritmiche spezzate a delicate e lussureggianti vedute popolate da campioni registrati direttamente dalla natura, unendo il tutto ad un’oscuro synth che verso la metà del brano rafforza la struttura ad intervalli regolari.
“Acquasonic” scivola appunto dentro un suono liquido fatto di sovrapposizioni di tastiere, field recordings e battiti dilatati. “Beanz Meanz Jazz” ruota intorno ad un flusso di piattini e tamburo dall’estetica jazz e ad un formidabile giro di basso messo in loop ed accompagnato da scie elettroniche tutt’intorno, uno di quei brani che rappresenta in senso stretto il termine Future Jazz.
“P-Yonic” ricorre alla bassline per descrivere una visione acid dove ad intercorrere sono dei pads oscuri ed altri suppellettili elettronici abilmente assemblati, mentre in primo piano la cassa scandisce uno dei ritmi dance più trascinanti di sempre per dodici estatici minuti. “Beach Bum” è forse l’interpretazione più vicina alla Motor City, con le sue dinamiche asfissianti e quel senso di movimento tipico delle calde produzioni di casa UR.

In fondo un serpente malinconico come “Funk Star(classic mix)” a dirigere l’atterraggio di un missile di quelli che ne ha oltrepassate veramente di tutte, lasciandoci in eredità un album prezioso ed ancora terribilmente attuale.