Continuo a comperare dischi come il primo giorno, con lo stesso fuoco che mi colpì in tenera età, ritengo quindi d’aver assistito da spettatore pagante e con un biglietto di prima fila in “tribuna passione” al mutamento che la musica techno e più in generale elettronica ha avuto nell’ultimo decennio. Era il 1994 e per il sottoscritto gli anni che vanno dal 93/94 alle porte del 2000 sono quanto di più insistente, forte, creativo e sperimentale si sia potuto avere da un certo tipo di suoni. Eravamo già fuori dal periodo delle rivoluzioni, tempo che ho vissuto soltanto di rimando ma del quale ho imparato a conoscerne ed apprezzarne in pieno la potenza espressiva e di rottura generata.
Nella metà degli anni novanta invece la rabbia ha lasciato spazio alla coscienza, dopo aver scoperto il fuoco in pratica abbiamo imparato ad utilizzarlo in maniera funzionale. Sono tutti in quegli anni quelli che considero i capolavori di sempre, i dischi impressi nel mio essere come compagni di vita, come risorse alle quali attingere sapendo di navigare in acque sicure, e non sono pochi, anzi.
Flextone è proprio uno di quei gioielli. Un album partorito per mano dell’artista per antonomasia, quell’Uwe Schmidt che chiunque abbia un minimo di confidenza con questi argomenti deve aver incrociato per forza sul proprio cammino, se non altro, perchè quel suo essere visionario gli ha permesso di diffondere le sue idee a tutto tondo, plasmando di volta in volta il suono in forme e modi di comunicare differenti tra loro. Uno che si fa una fatica immensa a corrergli dietro, mascherato sempre da pseudonimi diversi, se ne conteranno una quarantina… Le cui incarnazioni più famose sono quelle di Atom Heart, Atom TM, Flanger, Señor Coconut , Lisa Carbon e forse qualcos’altro. Un artista al quale abbiamo perdonato anche quel maledetto scherzo che sono state le cover dei Kraftwerk a ritmo di cha cha cha, realizzate nel suo periodo di permanenza in Cile.
Poi c’è la techno, un genere sempre preso di petto da Schmidt, che in più occasioni ha preso, smembrato e reso nuova materia rigenerandolo in passaggi che vanno dall’ambient più cosmica ai tagli glitch millimetrici molto caratteristici del suo background tecnico. Chi lo ha conosciuto negli ultimi anni probabilmente si sarà fatto l’idea del classico professore perfezionista, vuoi per l’abbigliamento sempre inappuntabile con il quale si presenta in pubblico, vuoi per quella declinazione sonora fin troppo hi-tech riversata nei suoi lavori più conosciuti degli ultimi anni. Ma attenzione, perchè quello che è stato uno degli album più sottovalutati dello scorso anno: “Music Is Better Than Pussy” pubblicato con lo pseudonimo Atom TM, è un filo conduttore importantissimo con quel passato che vi vengo a raccontare.
Ritorniamo al 1994, la Rather Interesting, figlia della Fax +49-69/450464 e quindi elaborata e messa al mondo da qualcuno che risponde al nome di Pete Namlook.
A venir fuori c’è tutta una serie di album che circumnavigano l’elettronica arrivando a toccare territori acid, ambient ed infine techno. Portano tutti la stessa firma, differenti pseudonimi ma soltanto un uomo dietro, il “nostro” Schmidt appunto.
Poi arriva un nuovo album, a nome Flextone. Sarà la sua manovra definitiva. Un capolavoro techno dove concetto e groove convivono nella più eterea delle unioni, forse quello che tengo a considerare il suo disco più libero tra quelli orientati al groove. E’ pieno di sentimento e vicino come non mai al funk nero della Motor City, basta ascoltare un brano come “Flextone C” per capire di cosa parlo o ancora spostarsi in quella fase lunare sempre immersa nelle plastiche molli che risponde al nome di “Alaska”.
Un album dove gli innesti sono molteplici, come in “Rather Abstract” un’immersione totale nelle frequenze depressurizzate dove i synth incontrano bassi profondi e rifiniture screziate, e poi che dire del magico caleidoscopio rappresentato in “Instant Replay”, brano che considero un po’ il cervello dell’album con i suoi mille output, circuiti attivi, scintille e lucine colorate.
L’acid al fulmicotone di “Lifesize” sembra proiettarci dentro un’altra era, ancora lo spazio per la sperimentazione nei canovacci bui di “Flextone A” un tunnel dub che ad oggi ancora incute timore.
“Flextone B” è un mostro che racchiude tutto: sentori cosmici, movenze techno, armonie celestiali, senso di smarrimento e devozione praticamente totale, uno di quei brani pilastro della seconda incarnazione della techno.
Sono passati quasi vent’anni e nello scriverne, cuffie ben salde nelle orecchie, arde ancora una fiamma indomabile.
Eccola, la potenza della storia.