Certi dischi semplicemente esistono. E’ inutile star lì a cercar di capirci qualcosa, sono irripetibili unioni che danno vita alla vita, a quel centro perfetto che illumina l’esistenza di una luce nuova, abbagliante, celeste. Ed alla New Electronica hanno sempre saputo come far del bene al cuore, in quella loro astuta specializzazione che sono state le compilation, certo prima era più semplice scegliere, ma anche questo conta poco quando al mondo viene presentata Objets D’Art.
Era il 1994, con la label che già da un anno sfornava dischi a profusione raccogliendo il meglio del meglio di quel che veniva fatto, uscendo geograficamente dall’Inghilterra per tender la mano a Detroit, alla Germania ed a tutte quelle realtà che in quei magici anni contribuirono a rivoluzionare per sempre il modo di intendere la musica di milioni di persone. Il materiale proveniva per la gran parte dai due colossi elettronici Inglesi dell’epoca, la Eevo Lute Muzique di Stefan Robbers e Wladimir M e la Applied Rhythmic Technology di Kirk Degiorgio, due delle etichette più prestigiose per ciò che concerne la techno, l’electro e l’house di qualità di quel lasso temporale.
Objets D’art si presentò con un lussuoso quadruplo vinile che raccoglie 16 composizioni techno tra le più avventurose, ciniche, sperimentali, belle mai prodotte. Un disco che va considerato come un insieme, come un bacino di idee ed espressioni artistiche che in nessun caso hanno osato scendere sotto l’eccellenza. Solo leggerne i nomi in lista mette un certo disagio, parliamo di uomini rivoluzionari, parliamo di visionari che hanno elevato la techno prendendola direttamente dalle mani dei creatori per evolverne le gesta senza mutarne il messaggio. Un messaggio che ha sempre parlato del futuro, non soltanto descrivendone un presagio ma provando fisicamente a riprodurne le visioni. Parliamo di un suono evoluto che oltre all’aspetto groovistico ha sviluppato una dialettica soul che in queste terre è corsa a braccetto con la tecnologia, contrariamente a quell’ancora di salvezza funk nella quale la Motor City si è sempre rifugiata.
Balil, Atypic, Future/Past, As One, Cmetric, Neuro Politique, Esoterik, Psyche, B.F.C.
Queste le cicatrici impresse sulla cover, questi gli artisti radunati in un cerchio di fuoco dal quale è praticamente impossibile uscire fuori se si è un minimo appassionati di techno. Un’adunanza di suoni che partendo da strascichi di tastiere ed aperture di synth analogici spiccano il volo in un viaggio dove il soul gioca un fondamentale ruolo, fungendo da collante lì dove il ritmo prende (inevitabilmente) strade divergenti. Una cascata di drum machine ora dritte e sprezzanti il pericolo, ora magicamente intricate in quella spezzata complessità che ha creato il mito in terra d’Albione.
Brani che sembrano volerci guidare, ed in qualche modo in effetti lo fanno, aiutando la nostra mente ad evolversi, ad uscire dal quotidiano e dall’ordinario per trovarsi ad immaginare un futuro diverso e più giusto. Quel che dev’essere il messaggio della techno, un linguaggio rivoluzionario e fuori dagli schemi, una visione che può farci star meglio, un rifugio utopistico nel quale comunque continuiamo a covare speranza.
Objets D’art è la sola definizione possibile, oltre ad esserne il titolo.