C’è anche da considerare un’altro fatto, se durante i ’90 eri un produttore techno/ambient o giù di li, è praticamente impossibile che i tuoi dischi arrivino putrefatti al giorno d’oggi. Vuoi per un approccio più libero, vuoi perché se volevi produrre dovevi avere tutto un bagaglio tecnico non indifferente e vuoi pure che se producevi techno ed ambient eri sicuramente un appassionato di quelli con la A maiuscola e quindi quantomeno i tuoi suoni sono destinati all’eternità. Poi se oltre a tutto questo avevi anche del sano talento ecco che il rischio di produrre un piccolo capolavoro era moltiplicato esponenzialmente.
Paul Schütze non era il garzone di bottega, l’artista nativo di Melbourne e poi trapiantato in Uk iniziò il suo lungo e prolifico excursus artistico agli inizi degli ’80, dividendosi tra musica ed arte, solidificando poi una massiccia produzione musicale a partire dal 1989, quando con “Deus Ex Machina” diede il via ad una serie di dischi ambient che arriva fino ai nostri giorni.
Avrei potuto parlarvi di uno qualsiasi dei suoi tanti album, tutti incredibilmente suggestivi, c’è anche chi tende a considerare il suo capolavoro assoluto quel “More Beautiful Human Life!” scritto come Uzect Plaush e pubblicato dalla Apollo, ma in cuor mio, l’album con il quale si è espresso al meglio è sicuramente lo sconosciuto Vertical Memory pubblicato sotto lo pseudonimo Seed e pubblicato dalla Beyond, piccola label inglese dedita al suono ambient e che nel corso della sua esistenza ha dato luce a dischi di Higher Intelligence Agency, David Topp, Electronic Eye e molti altri ancora.
Vertical Memory è lo scrigno dei segreti, è un album che parte da lontano, parte da quel sogno ambient che è la mente di Schütze, un’autentica dream machine sempre attiva, un profilo che per certi versi ricorda quello del compianto Pete Namlook. Anche Schütze era di quello stampo lì, un produttore che metteva per iscritto i propri sogni, le proprie idee, forse in questo caso con quel minimo di approccio sperimentale che però è andato forse più a discapito che a vantaggio dell’uomo.
Vertical Memory è un’onda, immaginarlo in sezione avrebbe proprio quella fisionomia morbida che sale man mano rivelando poi un picco dal quale cominciar a scendere di nuovo per scontrarsi infine con la terra, per poggiare i piedi, ben stabili.
Parliamo si di ambient, ma questa volta di un suono più aperto, che vuol fare showcase di tutta la sua bellezza ma è pronto ad aprirsi anche a soluzioni nuove, come quella techno, non intendetela nel più classico dei 4/4 da pista, ma come un’attitudine al ritmo ed alle dinamiche ipnotiche che qui emerge in almeno tre brani come “One Armed Sun Ascending” (che ricorda toxygene degli Orb), “The Alteration” ed “Entropic Appetites”.
Il suono scaturito dai suoi sintetizzatori è vicino a quello dell’epopea cosmica dei primi ’80, con quell’inafferrabile calore strumentale sapientemente arricchito da innumerevoli dettagli. Quello che forse oggi manca in tutte le produzioni di taglio ambient, troppo ancorate sull’utilizzo di drones e field recordings. La differenza con questo splendido passato è proprio nella mole di lavoro impiegata sulle rifiniture, nell’aggiungere ad un corpo principale già di per se esaustivo tutta una serie di accorgimenti sonori che dopo quasi venti anni fanno ancora la differenza.