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Greatest Pills /

AFX Analord 1-11

  • Label / Rephlex
  • Catalog /
  • Format /
  • Released / 2005
  • Style /
  • Rating /
    10/101
AFX - Analord
Decido di parlare di Aphex Twin con la gocciolina di sudore che scende dalla tempia, non è facile e forse non è neanche giusto, però vorrei prendere una strada laterale, parlarvi di come la figura di Aphex sia entrata nelle maglie sociali (riferendovi di una Roma votata al suo Dio) e prendendo in esame uno dei suoi lavori più criticati, la serie degli Analord.

Che ricordi, non è esistito musicista elettronico più mitizzato di Richard D. James, Roma poi con il suo attaccamento morboso è riuscita a riservargli sempre un trattamento speciale, quel misto di grezza euforia e coatta gratitudine che è un po il peso specifico del fan capitolino. Erano i primi anni ’90 quando la capitale conobbe le sue gesta. Ancora aperta la diatriba su chi suonò il suo primo disco nella capitale, le fonti più creditate parlano di un Lory D di ritorno da Londra, altre ribattono assegnando questa “paternità” a Paolo Zerla Zerletti. Quel che conta, quel che resta, è un fatto quasi sconcertante, l’amore, quel furore materiale, era dovuto ad un brano come “Isopropophlex”, siamo nel 1991 su Mighty Force.

Ecco, è sconcertante il fatto che un brano così potente, viscerale ed assolutamente poco ortodosso sia riuscito a penetrare nelle maglie di un utente che oggi verrebbe definito medio. Fa sorridere, pensare a quanto ora la musica venga concettualizzata ed esposta a ragionamenti per così dire colti, evoluti, d’elite, mentre con una semplicità estrema questo suono così irruento e privo di regole ha soggiogato le menti di manovali, idraulici, piccoli spacciatori, impiegati comunali e spazzini, quasi tutti, con un titolo di studio che non va oltre la terza media, un tempo non era un problema. O ancora di professionisti, medici, architetti o chissà cos’altro, insomma, delle persone.

Aphex Twin ha avuto una sua specifica funzione sociale, eccolo il dato, anche se circoscritta a determinate situazioni, la sua musica ha saputo fungere da raccordo, ha unito ed ha stravolto ed è venuto giù a cascata, con una furia di produzioni sempre accolte, ascoltate e recepite in maniera uniforme più o meno da tutti. Nella lista dei dieci dischi da isola deserta di qualsiasi appassionato di musica elettronica non manca mai un Aphex.

Inoltre, e qui arriviamo sino ai giorni nostri, quell’attenzione e quella sana euforia è rimasta tale, intatta, in tutte le esibizioni capitoline dell’uomo, la nutrita schiera di ormai ultra quarantenni (tra l’altro suoi coetanei) non è mai venuta meno, con volti imbambolati addosso alle transenne al suo passaggio, alla ricerca di un piccolo gesto, di un sorriso, di qualcosa d’umano.

La parabola Aphex è complessa, fatta di mille cunicoli, troppo libero come spirito per poter reggere il peso della sua fama con una discografia costante e direzionata. Ed è proprio nella metà degli anni 2000 che, dopo aver pubblicato il suo ultimo album a proprio nome, quel Drukqs che per alcuni versi è stato un po un darsi la zappa sui piedi (anche se propriamente non credo gliene potesse importar meno del pensiero altrui), l’attenzione, perlomeno quella di chi scrive, verso l’artista è venuta un po’ meno, chiamiamola una fase di stanca dovuta al troppo affollamento. Tant’è che, e qui continuo a maledirmi ogni santo giorno, quando nel 2005 sul sito della Rephlex venne pubblicato il bundle per l’acquisto del cofanetto in cuoio pronto a contenere l’imminente serie di dischi in uscita, gli Analord appunto, quasi snobbai, pensando: “Si ok, facciamoli uscire, poi semmai li prendo”.

Non credo d’esser stato il solo a fare questo tipo di ragionamento, c’era una sensazione di diffida piuttosto diffusa.
Gli Analord vennero pubblicati in undici Ep a partire da gennaio del 2005 e rappresentarono in tutto e per tutto un ritorno in grande stile del musicista irlandese. L’anno seguente venne poi pubblicata una raccolta intitolata Chosen Lords, in formato CD, comprendente dieci soli brani, nulla.

Apparvero numerosi post su vari forum, dove ci si interrogava sulla presunta manovra di marketing ideata da quello che venne poi dipinto come il male in persona, pronto a metter fuori gli “avanzi” per racimolare denaro. Siamo già in epoca internet, ecco i ragionamenti colti ed evoluti.

La serie degli Analord è composta di sessantaquattro brani, una mole d’ascolto di oltre tre ore, un ascolto necessario, perché, e per una volta parliamo della musica anziché del mito, raccoglie quella che può esser definita come attitudine, un modus operandi ed anche uno stile di vita: l’Acid.

Gli Analord sono Acid in quella prospettiva che sa di libertà, ancora una volta Aphex se ne è fregato, perché se da un lato ha dato vita a musica per alcuni versi melodica e quindi umana, di contro ha messo in pratica soltanto la sua voglia di giocare con le macchine, utilizzando sintetizzatori e batterie elettroniche in stesure fuori da ogni logica di mercato, che, se moltiplicato per undici Ep, non uno, vi danno la misura di un suono totale, che parte dall’amata electro ed affonda in scorci ambientali, techno, downtempo o semplicemente sperimentali con una narrativa unica che fa capo a programmazioni ritmiche che oscillano da regolari battiti 4/4 alle arrampicate distorte che sono sempre state parte del suo dna.

A sorprendere ancora è quella classe smisurata nel comporre musica forte, penetrante, musica che non si guarda di essere propriamente dance o per contro d’ascolto, ma è a volte l’uno altre l’altro, senza scalette programmate, onde progressive o flussi ragionati. Il messaggio sembra essere: prendete la musica per quel che è, fatela vostra, lasciatevi trasportare senza indugio.

Una buona regola ormai persa, tutti li a ragionare e far paragoni. Ne parlavo all’inizio, descrivendovi in che modo un brano come “Isopropophlex” fosse riuscito a sovvertire ogni regola impiantandosi nei sentimenti di persone che lo hanno ascoltato senza pregiudizi. Di nuovo, questa è la chiave di lettura, anche per gli Analord, ascoltateli, vi sorprenderanno, vi sorprenderà innamorarvi di suoni e strutture non convenzionali, di brani che coprono una gamma ampissima di stili, tecniche, umori e memorie scritte dal musicista che più di tutti si è messo a nudo offrendoci il suo pensiero senza filtri. Un modo di porsi che dovrebbe farci riflettere ed aprire la mente, come si faceva in quel tempo nel quale nei party ancora ci si divertiva ascoltando musica.

*Foto scattate durante la prima esibizione romana del 1995 da Claudio Rosato