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Greatest Pills /

Electronic Eye Closed Circuit

  • Label / Beyond
  • Catalog / RBADCD8, RBADLP8
  • Format / Vinyl, CD
  • Released / 1994
  • Style / , ,
  • Rating /
    9/101
eleeye

Richard Kirk è un mito vivente. In un epoca in cui la divulgazione del verbo elettronico è maleficamente ancorata in modo saldo ed incontrollato alle dinamiche del mercato consumer, invocare con veemenza il ritorno ai fondamentali del genere è quasi obbligatorio. Così la mente va a ritroso nel tempo riabbracciando le gesta di una mente pazza e geniale come quella di Kirk. L’uomo è conosciuto alla massa principalmente per essere stato uno dei tre membri dei Cabaret Voltaire, gruppo seminale attivo dal 1979 al 1994, vero è proprio capostipite della wave industrial/experimental inizio ’80 (sonorità tanto tornate in voga ultimamente), nonché punto di riferimento di numerosi artisti del genere techno per poi divenire, quasi per assurdo, band pop elettronica lanciata nel mondo delle top chart da importanti contratti con le major.
A distanza di venti anni, proprio un mese fa l’annuncio che i Cabarait Voltaire si sarebbe riuniti di nuovo in una performance al Berlin Atonal di fine agosto, festival berlinese il cui ideatore è niente poco di meno che Dimitri Hegemann (tra l’altro anche owner e fondatore  anche del Tresor Club che sarebbe nato nel 1992), che chiamò proprio la band di Sheffield in una delle primissime edizioni dell’evento, negli anni pre caduta del muro.
Personaggi e uomini chiave che si rincorrono a vicenda tra le ere della musica.

Parallelamente al lavoro con i Cabaret Voltaire, Kirk già dagli inizi degli Ottanta abbraccia la sperimentazione analogica attivando il suo solo project e realizzando un vasta quantità di produzioni sotto un’altresì moltitudine di pseudonimi, la maggior parte utilizzati per far uscire materiale sulla sua label, la Alphaphone Recording. Non c’è genere non trattato. Dall’ IDM (mastodonticoVirtual State del ’94 su Warp) alla “bleep techno” di Sweet Exorcist assieme a Dj Parrot, fino ai tribalismi astratti sotto nome Sandoz e all’ambient techno contaminata dal groove sotto le spoglie di Electronic Eye, solo per citarne alcuni.

Ed è proprio su quest’ultimo che si sofferma la nostra ricerca. Closed Circuit, primo dei 5 album sotto tale moniker, viene alla luce nel 1994 su Beyond, label pilastro del filone ambientale inglese in quei preziosi e prolifici anni. Un doppio CD che ci restituisce il miracolo di una fusione alchemica di generi come ambient, house e techno, ed una mescolanza di strutture ed arrangiamenti difficile da scovare nell’elettronica moderna. Un lavoro eterogeneo quindi ma per un certo verso astruso e psichedelico, con moti continui che ricorrono in numerose delle tredici tracce (alcune che superano i dieci minuti di durata), incursioni nello spazio dove remote stelle e nebulose sono gli approdi delle perlustrazioni sonore di Kirk.

kirk

“Bush Channel Stepper” apre il primo supporto con i suoi quindici interminabili minuti trainati da un groove infinto sul quale si inseriscono bleep, melodie, percussioni di varia natura, samples vocali e frammenti di dialoghi eterei, pause e ripartenze che creano un meccanismo di trappola in cui si resta sospesi tra danza e non danza. Seguono due perle come “ Freak of Nature” che rilassa e rilascia endorfina con la sua magnifica partitura ambient-electronica, ricca di tappeti e calde melodie adornate da sonorità che rispecchiano appieno gli anni rigogliosi in cui sono stati composti, ed “Electronic Sight” dove Kirk si cimenta con tastiere e synth per dieci leggiadri minuti di sublimi gorgoglii di note e giri di basso mentre in background a tratti si affacciano, per poi scomparire e ricomparire, echi di conversazioni umane.

Un andatura downtempo che, assieme agli effetti di circolarità prima citati, non fa altro che estendere l’ascolto più della durata fisica dello stesso…quasi come se fossimo, fatalità, vittima di un moto perpetuo in un circuito chiuso. “Painted People” ci porta per contro in un ambiente chiuso e claustrofobico, tra droni spaziali, dissolvenze ed ascendenze, ancora echi di qualche astronauta perso nel buio fuori il modulo lunare. Un tema di inquietudine e smarrimento che verrà ripreso anche nel secondo supporto con “Pacific of Nation States”.

Perdiamo la direzione che “Datacrime” ci fa ritrovare. Una traccia che fa venire in mente Banco di Gaia ed il suo tribalismo onirico. Ritmica 808 che in progressione si arricchisce, campionamenti di natura etnica e synth che ricordano il filone trance più mistico e vero di quell’era in cui il genere raggiungeva l’apice di popolarità. Anche qui ritroviamo una connessione con una traccia in disco 2: “Counter Insurgent” non è altro che la destrutturazione e l’alleggerimento di “Datacrime” fornendone una versione più beatless.
Riassaporiamo il miracolo IDM volteggiando con “Forth World Destination” ed il suo reef di piattini e note distillate in un crescendo ritmico ed armonico di rara bellezza, che coinvolge lo spirito in una soave spirale d’emozioni. Respiriamo profondamente poi durante i tre minuti di “Circuitry Man” e la sua cattedrale di tappeti prima di immergersi nel modo subacqueo di “Aquamarine Sheen” con i gemiti delle sue creature marine ed i pad modulati a seguire le pressioni e le profondità di un oceano patinato ed impenetrabile. Ascoltiamo “Cloud Chamber Dub”, che altro non è che la consecutio di “Aquamarine Sheen” in un magistrale evolvere da battute spezzate ad un 4/4 ricco di elementi ritmici.

La bellissima braindance di “Go Back”, droni e bassi ovattati in assenza di gravità, e gli echi ed i bleep sbiaditi di “Nation Fade” disimpegnano l’ascolto chiudendo questo interminabile album.

In assoluta antitesi rispetto al presente, è assolutamente eccitante sorprendersi riascoltando Closed Circuit a distanza di due decadi,  lavoro dotato di fascino anche per questa sorta di non-perfezione delle partiture scritte da Kirk, fisiologica ed implicita nel modo di creare musica completamente in analogico di quegli anni. Mentre oggi appare evidente come la maggioranza dei produttori sia volutamente e costantemente alla ricerca di un esasperato perfezionismo che, invece di arricchire, spesso appiattisce i contenuti ed i significati della musica stessa.

Non cadere in questi inganni rimarrà sempre una virtù.