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E.P.160 Skycon

  • Lenght / 1:00:54
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Skycon

Francesco Fiore, aka Skycon, con la sua Resonant Recordings ha rappresentato un interessante frammento di musica techno all’inizio del decennio passato in un contesto dove, diversamente dai giorni nostri, anche una piccola etichetta poteva produrre e vendere centinaia di copie.

La Resonant si è fatta apprezzare in Europa e soprattutto in Asia dove, in uno storico party di chiusura allo Womb di Tokyo, uscì di scena nel 2004.
Ma siccome questa è una di quelle piccole ma affascinanti storie che ci sentiamo in dovere di raccontarvi, eccovi il podcast che Skycon, ora di stanza a Zurigo con tanto di vinili al seguito, ha confezionato per voi questa settimana insieme ad una bella intervista dove ci racconta la storia della sua label ed il suo imminente futuro nel campo dell’ “intelligenza collettiva”.

Una mix che vi farà  consoscere l’impetuosità  e la potenza del suono techno old school.
Buon divertimento!
 
Tracklist:

01. Way Of LIfe by Dave Clark ft DJ Rush /  Skint
02. Technasia a1 fusin’ fusin’ ep  / music man
03. Danilo Vigorito – B2 Transmission (The Vision EP) / Primate
04. Grand Resonant – High / Resonant Recordings
05. Familie ground – panic (danilo vigorito remix) – Scena Rec
06. Ployd – Frame One – Resonant Recordings
07. Grand Resonant – Central – Resonant Recordings
08. Lars Klein – Dark Star / P Rhythm
09. Mikeal Tronic – Lapasenmieli / Resonant Recordings
10. Monika Kruse & Voodooamt – Swat / terminal M
11. DJ Julien & Gonzague / Mirage 10
12. THE SENSE 7 / Integrale
13. Johannes Heil – The Eye of Providence / Kanzleramt
  
Per iniziare puoi dirci in che modo ti sei avvicinato alla produzione musicale ed all’arte del djing?

Ho iniziato a suonare la batteria molto presto, grazie a mia madre a dire il vero.
Ho studiato lo strumento molto e seriamente. Era una spirale perversa meravigliosa. Poi verso i 15 anni ho iniziato ad andare ai rave e nutrirmi di new beat belga, acid, techno e ambient. Al tempo separavo la musica elettronica, che era per me un’espressione di identità, dal jazz, funk e new wave che suonavo come batterista nei vari gruppetti in giro per Roma.

Ho continuato a studiare musica da una parte, e andare a ballare dall’altra. Fino al giorno in cui ho comprato un SH09 (glorioso analog sinth) e un MC50 (sequencer). Con i miei due nuovi amici ho iniziato a studiare la batteria con delle sequenze analogiche sotto, come metronomo e soprattutto per raggiungere il massimo del fomento mentre suonavo. Da lì a poco ho iniziato a comprare altri sinth e integrarli sempre di più in tutto quello che facevo.

Il primo vinile prodotto è arrivato nel ’92, che ha poi aperto una lunga serie di produzioni.
Per anni ho fatto solo live (acid techno e ambient), prima girando i rave del nord italia con una formazione chiamata Tristan Tzara, e poi come Skycon in tutta Italia.
Nel ’97 sono approdato ai giradischi. Fu una grande scoperta.

Ci puoi raccontare l’esperienza della tua label Resonant Recordings, come è iniziata e perchè la sue uscite si sono fermate del 2004?

Resonant è nata nel ’99, 5 anni bellissimi, pieni di soddisfazioni fino a poco prima solo sognate. Mi è difficile sintetizzare in poche righe quello che è stato.
Abbiamo venduto tanti dischi in tutto il mondo, prodotto musica & design, suonato in tanti posti, ma soprattutto siamo riusciti ad esprimere e diffondere la nostra visione, figlia del nostro percorso culturale e ancora una volta manifesto di identità.
Perchè ci siamo fermati nel 2004? Ho sempre prodotto musica elettronica per dare una rappresentazione sonora di quello che ero, che pensavo, e di come vedevo il mondo. Nelle sue varie declinazioni ovviamente.
Da piccola etichetta che era alla sua nascita, Resonant era diventata una società che dava lavoro a diverse persone, e ad un certo punto mi ero accorto che vendere tanti dischi (relativamente al settore) era diventata una conditio sine qua non. Io volevo continuare a essere libero di far uscire dischi tutti matti, che avrebbero passato il migliaio di copie con fatica, mentre i nostri distributori (Neuton su tutti) continuavano a chiedere a gran voce tracce dritte e conformi con il trend ritmico del momento.

Insomma un giorno mi sono accorto che stavamo facendo ENTERTAINMENT, e non libera espressione. Stavamo rendendo un servizio a pagamento per un pubblico che nel frattempo era de-voluto nel concetto di clubbing, ovvero divertimento, intrattenimento. E a me di intrattenere non mi interessava proprio. La libera espressione non fa i conti con le aspettative del mercato. Quindi alla fine di un tour giapponese culminato con una Resonant label night al Womb di Tokyo con tanto di colonia di amici romani al seguito, mi sono detto che era meglio lasciare il festino nel suo apice, piuttosto che reiterare ed attendere la decadenza. La passione era svanita, e dunque meglio fare una pausa.

Come definiresti/descriveresti la musica che ami proporre?

Acida, sarcastica, cappotta-occhi, onirica, spacca-muri.


Potresti descriverci il tuo setup in studio? Con cosa produci musica attualmente?


Sono passato attraverso tantissime fasi diverse. Senza mai abbandonare però i sinth analogici e gli outboard.
Mi sono stancato presto degli emulatori software, che trovo poco divertenti, comodi forse, ma poco divertenti. Ho bisogno di mettere le mani addosso alle macchine, girare potenziometri, alzare cursori. Sto tornando ad un set up computer-less. Stai vedere che fra poco passo ad un sequencer analogico. Vabeh ora esagero..

Dove hai registrato il podcast? E cosa puoi dirci in merito?


A dire il vero è un mix di qualche tempo fa, registrato a Zurigo. Ascolto e compro di tutto ma quando si tratta di condividere preferisco esprimermi con il sound che sento più mio. Quello che vi propongo è un’ora della techno che suonavo quando ero in Giappone, una bella serie di frustate veloci, ancora di quelle in cui si sente che sotto c’è una 909 in carne e ossa, se mi passate il termine. Poco da fare, sono old school, e suono old school.

Su cosa stai lavorando al momento?


A parte essere tornato prepotentemente alla batteria acustica per puro sollazzo, lavoro ormai da parecchio tempo sull’idea che l’evoluzione della musica, la rappresentazione della contemporaneità può anche non passare per forza attraverso la creazione di nuovi suoni e stili, ma dall’innovazione del modo di fare musica e del suo processo creativo.

In particolare sono concentrato sul concetto di intelligenza collettiva. All’orizzonte, una dimensione dove il listener/dancer prende parte in tempo reale alla creazione, diventando parte attiva dell’entità musicale. Come se tutti facessero parte dello stesso controller midi. Suona come un delirio ma vi assicuro che non lo è. Certo, la strada è ancora lunga, ma sono a buon punto. Per tornare alla domanda iniziale, ho appena prodotto un format televisivo musicale interattivo basato sull’intelligenza collettiva, che ho presentato pochi giorni fa al MIPTV di Cannes. Lo show si chiama Sound Democracy.

Quali sono i tre dischi che salveresti prima della distruzione del Mondo?

Seeee…Come dire, apri youporn e scegline solo tre.

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