Il mistero sulla sua identità. La qualità della musica. Il non voler rilasciare alcuna intervista. Il continuo rimando a mondi drexciyani. Per più di un motivo lo sfuggente Jeremiah R. s’è progressivamente imposto all’attenzione degli addetti ai lavori come il nuovo ‘alieno’ old school.
Dapprima un album, “The 5th Dimension” (2011), su Wil-Ru Records; poi un 12”, “The New Wave” (2013), su Organic Analogue Records, impreziosito da un remix d’autore, a cura di Heinrich Mueller, una sorta di padre non solo ‘spirituale’ per molti artisti legati a Detroit.
Se l’italica Enklav. è riuscita a mettere le mani sul successivo “Interplanetary Phenomenon Unit” (2014), il vero colpaccio è riuscito alla britannica Tabernacle Records, che si è assicurata l’interessante mini-album “Underwater Title” (2014).
Una scelta non casuale: l’etichetta, attiva ormai da cinque anni, è solita selezionare artisti virtuosi per il proprio catalogo, in continua crescita e non focalizzato su un unico genere, ma aperto sia a divagazioni ambient che a fuoriuscite house. Sono, però, sette tracce ai limiti dell’electro, emerse da uno sconosciuto underground, a brillare improvvisamente della stessa luce che regala inediti chiaroscuri al manto dell’oceano. Un dato acquatico strisciante che, goccia dopo goccia, assume diverse forme.
Se l’opener Phase Space si connota per il classico sound Drexciya, tra armonie di sintetizzatori e bocche aperte, la più ariosa Pineal Gland Stimulation sembra puntare più in alto, con vibrazioni cosmiche alternate a solide percussioni. Pochi accordi e via verso il blu profondo. Far Sight, invece, chiude il lato A riproponendo gli stilemi jackin house attualmente in voga. Sul lato B, superate le inquietudini di Portal, è Twin Paradox la traccia che eleva l’opera del talentuoso Jeremiah R., attraverso una manciata di melodie e i continui gorgeggi della bassline.
Segue Monolith, altrettanto convincente esempio di elegante e lenta sovrapposizione di suoni. Attimi di relax prolungati con la conclusiva Blue Algae, dall’atmosfera più introspettiva che conferisce al brano un vero e proprio senso di solennità.
Genuinità, passione e un tocco lirico, quasi orchestrale, costituiscono i punti fermi del lavoro del produttore ancora senza volto che, a mani basse, ha conquistato la scena. Ognuna delle sette composizioni appare in equilibrio: nessun elemento ritmico è lasciato al caso.
L’influenza del passato è coniugata alla volontà di andare avanti, sia con vigore che affidandosi a una buona dose di romanticismo. Seppur contaminato dalla modernità, che lo ha scanalato in chiave acid, non si placa il continuo ritorno all’electro degli albori. Jeremiah R. ne è l’alfiere.