Quattordici anni di silenzio, questo il tempo trascorso dalla pubblicazione di una gemma rara come Microstructural Characterization, ma andiamo con ordine.
Tutto risale al 2001, quando da Detroit arrivò un Ep firmato DFA, per la Surveillance Recordings, nomi e sigle completamente sconosciuti, nessuno sapeva chi fosse, ma la bellezza di quei tre brani impressi fu così forte da far scatenare la “caccia all’uomo” a partire da quella favolosa vecchia mailing list di hyperreal siglata soltanto con un riferimento numerico: 313.
Un buco nell’acqua perché nei vari botta e risposta che scaturirono nessuno seppe aggiungere informazioni a questo incredibile disco deep house che incrociò magicamente piano e basso in un brano inciso col sangue come Cause Of Suffering o ancora portò a galla memorie E2-E4 nel brano di chiusura 3/5 Human, passando per la deliziosa Cyclic Subspace. Non se ne seppe più nulla, un fantasma.
Molti anni dopo, nel 2013, su un blog chiamato Nothin’ But Magic appare un post che parla proprio di Microstructural Characterization, c’è il link al sito della Surveillance dove appare un contatto email per poter acquistare il disco direttamente dalla label senza incorrere nello sciacallaggio di Discogs, ma soprattutto c’è un nome: James Trammell, indicato come produttore del disco e cittadino di Detroit, ancora poco, ma qualcosina in più. Il sito è oggi ancora online, ma con una pagina completamente nera.
Il silenzio viene rotto finalmente nei primi mesi del 2015 attraverso la Urban Imagery, giovanissima label diretta da DaRand Land, producer e dj statunitense che gode di ottima stima in ambito deep house. Ed è proprio attraverso la sua label che viene annunciata la release, questa volta con l’acronimo esteso non più DFA ma Deterministic Finite Automata, ed il nome del disco: Graceful Decay Of Admissibility.
Sono quattro i brani ad esser incisi sulla lacca nera, ed i quattordici anni di silenzio vengono rotti da Organism Of Chance, qui ritroviamo quel favoloso uso dei pads ed un groove acidulo che sovrasta la ritmica composta da una cassa profonda e da un gioco ben assestato di piattini e tamburi, il tutto condito da quei suoni sospesi che portano il brano in uno di quei paradisi deep house dimenticati.
Slave Name, sempre sul primo lato, scivola ancora in house con un brano ancora più scuro con le tastiere che sgomitano e un vocal maschile che sembra registrato al megafono. Il basso sempre vigoroso.
The Pale Horse, sul lato-b cerca di nuovo l’elettronica con un suono sintetico/acidulo che tiene la scena mentre è ancora un apporto vocale in chiave folk a donare un pathos speciale che ricorda il Claussell più elettronico. Uncodable Response è un brano ambient sci-fi che poggia su una cassa irregolare che chiude il cerchio intorno ad un viaggio spaziale dai toni astratti.
Un ritorno per alcuni versi differente dall’esordio, ma che non fa altro che aumentare l’attenzione intorno a questo schivo produttore, torniamo ad aspettare, mentre ci godiamo tutta la sua bravura.