Il lavoro della Akō era cominciato nel 2013 con un cd venduto sul proprio canale bandcamp e prodotto dal misterioso Yko. Ho scoperto in ritardo questo lavoro ma sento di consigliarlo a tutti gli amanti delle atmosfere rarefatte ed in generale dell’ambiente con piglio narrativo.
Taō (questo il nome dell’album n.d.r.) è composto da otto brani che vanno a definire un percorso molto personale e profondo che racchiude in se la bellezza dei paesaggi trasmessa attraverso il droning ed il field recordings, contestualizzati in un estetica che lascia trasparire in tutta la sua forza l’oriente. Vi si possono udire voci, canti e strumenti squisitamente orientali in un mood così vicino all’uomo da risultare infine semplice per chi sa comprendere le sensazioni più che la musicalità stessa.

A distanza di due anni arriva questo dodici pollici nel quale i brani Minako e Shiro, entrambi presenti nell’album, vengono affidati alle cure, rispettivamente, di Bee Mask e Max Loderbauer.

Il producer di Philadelphia sintetizza quello che è forse il pezzo più oscuro dell’album in una sua visione per così dire elettrificata dove amplifica il drone originale rendendolo una voce evocativa nella quale fa coabitare un ambiente rilucente e carico di tensione emotiva.

Completamente differente il lavoro di Loderbauer che compie una splendida virata in territori avant aggiungendo speziature percussive, stringhe ed arpeggi sintetici che donano movimento al brano e lo proiettano in una sorta di dimensione impro da scoprire man mano.

In definitiva due rielaborazioni che offrono altrettante prospettive a brani concepiti come parti di un progetto coeso e funzionale e che in questa nuova visione riescono a restituire la somma delle infinite possibilità della musica elettronica, oltretutto, e questo è di basilare importanza, due nuovi brani nei quali perdersi in un entusiasmante viaggio, liberate la vostra mente.