Originario di Columbus, nell’Ohio, Titonton Duvantè è uno dei personaggi chiave della techno americana, mai troppo esposto mediaticamente, sempre concentrato sul suo seminale percorso all’interno della dance music, sia essa di stampo puramente techno, che, come nel caso di questo Ep, a contatto diretto con l’house music.
Inizia a produrre musica nella prima metà degli anni ’90 e già dal suo disco d’esordio, Embryonic Ep, per la Metamorphic di Dan Curtin, mette in scena un’illuminata visione della techno in chiave Jazz, proprio quel discorso iniziato a Detroit e divenuto poi verbo fondante di tutta la storia che stiamo raccontando. Duvantè è sempre stato considerato da tutti un detroitiano “fuori sede”.
Oltre al lato produttivo l’uomo coltiva quello djistico, diventando un mago del turntablism e realizzando set infuocati sempre in magico equilibrio tra techno ed house con una costante tensione groovistica in chiave funk. Se non lo conoscevate insomma, c’è moltissima carne al fuoco sulla quale andar a fare ricerca.
Questo nuovo Ep è pubblicato dalla Yay Recordings, label della quale sappiamo molto poco essendo solo alla seconda uscita e presentando di fatto pochissime info, l’unica cosa che è lecito sperare è che sia italiana, visto il primo capitolo siglato da Riccardo Buccirossi già dietro alla Imprints Records.
Poco importa, perché quì il producer americano torna a parlare house con un tre tracce molto solido che apre con il brano Persevere, un nove-minuti-nove di ritmo serrato che sviluppa il primo groove intorno ad un synth tremolante ed una 808 scheletrica. Quando entra il giro di tastiera è subito grande memoria Detroit, quasi un millsiano groove al rallentatore con le lampade di calore accese che con il passare dei minuti diventa uno strano fungo notturno che ipnotizza ed avvolge.
Until You Understand apre con caldi pads in chiave deep che accompagnano il crescendo del brano fino all’esplosione della cassa, siamo di nuovo dentro una perfetta narrazione groovistica in house dal sapore più elettronico. Sono tinte oscure, ma non fredde. c’è il calore immenso di queste composizioni dove il lato melodico è gestito attraverso l’uso di questi grandi tappeti che si allargano partendo da semplici note.
The Reason Why, terzo ed ultimo brano è per chi scrive la cosa più bella del disco, vera essenza deephouse con tiro bassistico che sprigiona elettricità mentre intorno si sviluppano nebulose dall’inafferrabile sapore spaziale.
Se nella discografia dell’uomo questo non è che l’ennesimo capitolo, a livello di “salute” ci mostra un produttore in grado di regalarci ancora grandi emozioni che qui ed ora si chiamano house ma che sono solo un colore del suo arcobaleno.