Lo scorrere dell’acqua, voci in lontananza, rumori sporchi. “Gong Bath” (2015), seconda opera di Slow Riffs, rappresenta un piccolo unicum nel catalogo dell’etichetta canadese Mood Hut, giunto alla decima release in vinile. Trame ambient, astrazioni leftfield e inserti field recording gli elementi principali alla base di un 12” ideale per attimi di relax, vera e propria pausa dal groove impresso in svariati solchi da “Devonian Garden” (2013) di Cloudface in poi.
Nell’arco di un fortunato biennio, il collettivo Mood Hut si è fatto portavoce di una scena locale in fermento, al cui interno spicca la vena del duo Pender Street Steppers composto dallo stesso Jack J autore di “Thirstin‘” (2015) su Future Times. Slow Riffs, all’anagrafe Ian Wyatt, ritorna invece sulla label di Vancouver, con tre tracce ben strutturate e ricche di sfumature, naturale seguito di “MHC000” (2013), una cassetta a carattere drone stampata in sole trenta copie.
Dopo essersi affacciato anche su fronti art rock, deep house e techno, in gruppo con i No Gold o con il suo secondo pseudonimo Local Artist, il produttore continua così il suo personale percorso votato alla sperimentazione. Loop scollegati, ondate di calore, tamburi distanti. E un continuo riflusso di acque. La title-track, Gong Bath, è intrisa di vapori e suggestioni al culmine di ore trascorse in un centro benessere. Dieci minuti distensivi, l’incipit per sogni dorati.
Con Virgo Dub cala definitivamente la notte. Il canto dei grilli, il soffio del vento e la spuma del mare. Ipnosi sonora quasi senza fine affidata a morbide registrazioni dal vivo. Infine, una serie di percussioni improvvisate, in completa libertà e sovrapposte alla batteria costituiscono il punto di partenza della conclusiva Peace Arch, scanalata però anche dalle dolci note di carillon in sottofondo. Un’iniezione di musica ‘altra’ per spazi domestici.