L’attesissima seconda prova per Yoshinori Hayashi arriva a bordo di un vinile per la neonata JINN Records (label italiana gestita da Raw M.T.) intitolato The Forgetting Curve che segue a distanza di un anno quel gioiello d’esordio, The End Of The Edge, per la Going Good che aveva a suo modo aperto nuove strade all’interno dell’universo ambient, materia che l’esordiente produttore giapponese aveva ben manipolato attraverso un sound design astuto che in qualche modo aveva riaperto un colloquio tanto con la storia quanto con il territorio.
Non era servito spingersi troppo indietro, era bastato arrivare agli anni ’80, periodo nel quale il Giappone si è espresso attraverso una numerosa serie di album che univano l’estetica fusion (da sempre maneggiata) con lumi elettronici gestiti con il giusto dosaggio.
Qualche nome? Yuji Ohno, Mkwaju Ensemble, Yutaka, Hiroshi Yoshimura, Inoyama Land e molti molti altri ancora. Un universo di rarità alle quali il mondo del collezionismo aspira da decenni, musica oscura che senza volerlo elaborava un importante step-up del jazz verso nuovi territori, legandosi ad un filo conduttore che aveva nella componente umana la forza della tradizione, mentre in quella elettronica le possibilità dell’innovazione.
Un filo purtroppo interrotto per diverso tempo, o, se non proprio interrotto, virato su strade ed esperimenti differenti, d’altronde tutto il decennio dei ’90 è stato crocevia di nuovi linguaggi, in primis quello techno, che hanno segnato a fondo anche il movimento underground del sol levante, con giovani artisti completamente proiettati dentro quei suoni che hanno lasciato intravedere un nuovo futuro al mondo.
La musica di Yoshinori Hayashi sembra aver raccolto i capi di un filo interrotto troppo tempo fa per riallacciarli e dar seguito e futuro ad un suono che è stato tenuto ben distante dalle vicende elettroniche, vuoi per un minimo di snobbismo da parte dell’universo jazz in primis, vuoi perché diciamocelo, fino a qualche tempo fa sarebbe stato impensabile anche soltanto ipotizzare di vender qualche copia con un suono simile.
Cosa è cambiato? L’unica cosa oggettiva è data dalla componente umana, mentre durante gli anni ’80, anche per gli album più avant venivano utilizzati musicisti che davano vita a veri e propri ensemble, ora i produttori elettronici fanno tutto da soli, campionando e suonando tutti gli strumenti per vie elettroniche, segno identificativo dell’evoluzione dei tempi, che nella fattispecie toglie anche l’ultimo briciolo di organicità a favore però (bisogna dirlo) di una totale libertà interpretativa da parte del produttore stesso.
Hayashi lo fa ancora scrivendo una suite in tre parti che occupa per intero il lato A di questo disco e conferma e solidifica la sua bravura regalandoci musica sulla quale meditare e riflettere.
Un disco fusion, in tutto e per tutto, con la batteria strampalata che sbiascica rintocchi di cassa e vibrazioni di hit hat, gong e cimbali mentre il pianoforte regala emozioni notturne e fumose ambientate in una Tokio centro della modernità.
Non vale neanche parlarne in maniera separata, tanto è importante il viaggio d’insieme. Un viaggio che deve molto anche a tutto il filone hip hop strumentale messo in piedi in primis da Dilla, non tanto per le timbriche quanto per quell’approccio insieme cinematico e visionario che Hayashi è riuscito a declinare nel suo suono.
Sulla b-side il controverso Dj Sotofett fa il suo lavoro mettendo in dub queste sensazioni e costruendoci un alter ego dance che esalta le corde del violino di Osaruxo mettendo in mostra tutto un armamentario di claps e linee di basso, ma a dire il vero questo serve soltanto a ricordarci quanto sia stato egregio il lavoro iniziale di Hayashi.
Dovendo pensare ad un nuovo step, sarebbe lecito a questo punto attendere un album, che magari possa metter in gioco anche dei musicisti per regalarci un nuovo sogno ad occhi aperti tra le vie di una Tokio notturna illuminata dalla fioca luce dei lampioni.
Se non lo avete ancora fatto correte a recuperarli entrambi.