Per qualche anno (si parla di una decina di anni fa circa) uno dei tormentoni preferiti in ambito elettronico (sponda downtempo e suoni affini) è stato il dibattito su chi tra Peter Kruder e Richard Dorfmeister fosse la vera mente creativa del progetto Kruder & Dorfmeister.
Il tutto nell’attesa di un album di debutto che tuttavia non ha mai visto la luce. Ad un sguardo retrospettivo, considerando i progetti che lo hanno visto coinvolto, Peace Orchestra e Voom Voom su tutti, Peter Kruder è certamente colui che ha cercato una via di uscita a un suono consolidato, e in breve tempo divenuto classico, ma presto segnato da una certa stanchezza.
Forse, Kruder & Dorfmeister oggi suonerebbero così. Con questa recensione chiudiamo un cerchio (così come ci avviamo a chiudere un altro anno): il 2009, come evidenziato nella recensione di “Freak It”, è stato un anno importante per il team di produzione di “Teufelswerk” Hell/Prommer/Kruder e ha segnato il ritorno alla produzione con continuità di Kruder, ritrovato in forma e in piena evoluzione.
Voci di corridoio lo vogliono al lavoro su un album di inediti (già in avanzato stato di lavorazione) per la Gigolo dello stesso Hell, presso la quale si è di recente accasato.
Il produttore austriaco ci ha stupito in primavera con un singolo “visionario” quale “Visions” e successivamente un nuovo ep su Macro (il cui lato b figura nel nuovo cd mix di Dixon) : ora è la volta di “Hard To Find”.
“Hard To Find” parte veloce e così prosegue per oltre tre minuti quando fa il suo ingresso il suono di un sitar che imposta le coordinate sulle quali si muoverà l’intera traccia: un suono di matrice orientale che potremmo definire psichedelia elettronica.
Peter Kruder sembra proiettato sulla strada del pieno recupero a livelli eccellenti: sicuramente queste vibrazioni indiane ci restituiscono un produttore desideroso di sperimentare con nuovi suoni per creare qualcosa di fresco, ispirato da nuove influenze.
Il lato b “25 West 38th St.” è allo stesso modo interessante: si apre con il fragore di onde oceaniche a cui subentrano un corposo groove a intermittenza e suoni atmosferici in sottofondo, interrotti solo verso la conclusione da un intermezzo di pianoforte sognante.