Una manciata di singoli bellissimi, veramente, uno più bello dell’altro. Poi guardi una sua foto e pensi:”mio Dio ma è solo un bambino…”. Veramente non ne vieni a capo. Non vieni a capo di quanto James Blake sia intenso e profondo nell’esporre la sua musica.
Una maturità melodica già compiuta, in un estensione del suono dubstep che conta un senso di desolazione infinito ed un utilizzo delle partiture vocali quantomeno funereo.
Quattro brevi brani che covano sentimenti fitti e soffocati da un opprimente sensazione di disagio.
Tempistiche centrifugate in una visione del tutto personale dello spazio. Blake sposta i punti cardinali, fornendoci una visione realmente distorta delle cose.
I suoi sono battiti che attraggono nel loro essere difformi, supportati dalla sua innata verve melodica che non lascia scampo, una sorta di romanticismo ’80 strappato dalle viscere per esser rimodulato in nuovi esclusivi momenti di musica. Se avete bisogno di un paragone, potrei citarvi un Tin Man ubriaco che scrive basi per
Scott Walker.
Non credo serva aggiungere altro, se non che James Blake è un vulcano di idee che merita di esser supportato.