Kaval nasce dall’unione di due artisti come Ian Martin e Roberto Auser, il primo Dj, speaker radiofonico e produttore già su Bunker Records, Strange Life e Further con un suono oscuro tra electro ed ambient, il secondo intercettato sull’italiana Nature prima, poi con un variopinto, bellissimo album, intitolato Secret Carnival su Bear Funk. Per entrambi vale la passione per le macchine analogiche e per il lato “soundtracking”, caratteristica che dà appunto vita al progetto Kaval.
Ad occuparsi della release la Das Drehmoment, label di stanza a Berlino, della quale non avevamo più notizia da qualche anno, impegnata nella proposizione di musica legata al lato più irriverente dell’electro che arriva poi in lidi New Wave, Synth Pop, Italo Disco e Dark ambient.
Martin ed Auser progettano una colonna sonora senza film, immaginano un mondo e lo sonorizzano alla loro maniera, ispirandosi alle gesta di Carpenter e Lynch avviano così le loro macchine per dar vita ad un disco fondamentale come Sky Of Mirrors.
Un disco che inizia quasi subacqueo con un tappeto ambient scurissimo e piccoli bagliori che ne accompagnano i lenti momenti melodici quasi orchestrali. Tutto suona a meraviglia, il senso di trasporto è totale e la musica ti avvolge completamente.
Il suono di un flauto in lontananza apre la bellissima August Night, facendoci assaporare un lato esotico in questa scrittura che comincia ad emergere con i tamburi (che fanno da eco ai substrati metallici che vanno dipanandosi in superficie) diventando poi man mano più solidi e presenti fino al cambio di rotta centrale nel quale affiorano sinistri synth che sono soltanto un breve break alla dinamica del brano che poi riprende in pompa magna con il suo potere trascinatore per un finale ritmico da pelle d’oca.
C’è tutto un lavoro sulla tensione che viene rilasciata a brevi mandate, sempre alternata a stesure più ariose, una contrapposizione ben studiata che crea un costante stato d’attenzione da parte dell’ascoltatore, già rapito di per sé dalla timbrica sonora assolutamente avvincente.
Le macchine vengono usate a mò si strati, ognuna al suo momento liberando uno specifico suono che si insinua nei lunghi tappeti che fanno da base a quasi tutti i brani, ed a completamento di ciò i due inseriscono una serie di sonorità strumentali che sembrano provenire da violini, chitarra, basso ed organo. Piccoli arpeggi che arricchiscono il complesso e, nel caso dell’organo contribuiscono a donare quel sapore quasi sacrale ad una musica già di per se evocativa.
Un lavoro che ha poi il pregio di suonare molto armonico, caratteristica che rivendica il passato dei due produttori, sempre attenti a dare un atteggiamento se vogliamo “umano” alla loro musica, qualcosa che si avvicina più al cuore che alla mente e che suona come un’insieme d’emozioni sollecitate.
300 sole copie in vinile per un disco che è insieme scienza, sentimento e forza.