Che Gavin Russom fosse Dio era cosa nota sin dai tempi di “The Days Of Mars”, quando poi sposta il baricentro sul dancefloor tirando fuori caramelle di questa portata il tutto diventa godimento puro, perché trovare un artista ispirato come Gavin è cosa assai rara in questi tempi, considerando soprattutto una visione muiscale fuori dal comune che riesce ad interpretare il seminale periodo storico newyorkese a cavallo tra il ’75 e l’85 in maniera personare ed estremamente psichedelica.
I suoi brani sono viaggi, c’è poco da inventarsi, viaggi che hanno a che fare con la psichedelica malata e drogata di un’universo dance parallelo dove a convivere sono elementi estremi trafugati al passato e fatti rivivere sotto spoglie avveniristiche e fortemente inebrianti.
Questo Night Sky ribolle per 13 lunghi minuti decollando su un synth furioso che lancia i suoi giri nel cosmo mentre i motori dal basso prendono a riscaldarsi con calma. Un’attesa in crescendo sino all’arrivo della voce dello stesso Gavin in tributo alle stramberie punk partorite a New York nei primi anni ’80 che lancia l’innesto della chitarra e della componente ritmica, giocata anch’essa in uno strano 4/4 vaporoso. Un brano malato che và preso con tutte le cautele del caso, per nulla semplice e forse pienamente assimilabile se alle spalle siete certi di aver coscienza del passato musicale della grande mela.
Per il remix, l’inevitabile scelta, l’uomo che più di tutti ha saputo dare voce all’house più radicale di sempre, Traxx. Qui insieme al suo amico Beau Wanzer nel progetto Mutant Beat Dance. Il loro è un lavoro di indagine che ribalta letteralmente la stesura di Russom per andar a sondare l’apparato ritmico e le pieghe oscure dell’originale immergendolo in una spettrale atmosfera dove i delay, le ombre e la voce vengono rinchiusi in un labirinto buio dal quale con difficoltà si riesce ad uscir fuori. Ad essere evocate sono qui le memorie grigie dell’acid e del movimento wave di stampo europeo, qualcosa che è nelle mire di Traxx da sempre, basta ascoltare i suoi dj set per capire quanto questo taglio industriale/decadente influenzi le sue scelte.
Insomma, avrete capito, c’è da tirar fuori le palle, c’è da schierarsi, basta con le canzoncine, basta con le hit da finto clubber pronto a saltare davanti a consolle capitanate da piccole luminose mele, fanculo anche al sole. Risplenda l’oscurità.