“Ha Toccato, ha toccato il suolo lunare. Signori sono le 22:17 in Italia, sono le 15:17 a Huston, sono le 14:17 a New York. Per la prima volta un veicolo pilotato dall’uomo ha toccato un’altro corpo celeste, questo è frutto dell’intelligenza, del lavoro, della preparazione scientifica, è frutto della fede dell’uomo.”
Con queste parole Tito Stagno commentava una delle imprese più controverse della storia dagli studi RAI nel 1969.
L’esplorazione dello spazio è materia profonda che ci vede tutti inevitabilmente attratti, spingendoci con la mente dentro un vertiginoso buco nero nel quale siamo ancora impotenti.
Parlo proprio di quella sensazione di vuoto che agguanta lo stomaco quando la conoscenza non ha modo di venirci incontro ed intorno non c’è più nulla a cui aggrapparsi. Quando il pensiero giunge a ridosso di quel limite non ancora oltrepassato.
E’ un’istante, preceduto da forti vertigini, che immediatamente ci riporta al presente, ammettiamolo, regalandoci una leggera sensazione di sollievo.
L’arrivo, più di ogni altra cosa, ci attrae. Ma quel che spesso viene tralasciato, e che a mio avviso gioca un ruolo importantissimo in questo percorso dell’immaginazione è la fonte che genera la partenza.
Cos’è che può dare il via a questi viaggi? La scintilla diciamo…
ICON of DESIRE si presenta così, mascherandosi dietro un’istantanea che in primo luogo trasmette un senso di freschezza e novità, ma che nasconde in sé una visione musicale profonda ed affinata nel tempo, malinconica e pronta a rischiare, perché è proprio quel volersi mettere in gioco che nel nostro caso ha dato la vita ad un’intenso surreale cammino dolcemente ricongiunto alla domanda posta poco sopra.
ICON of DESIRE è la scintilla, è una scintilla, ed è quella che andremo ad analizzare.
Cos’altro aspettarsi dalla musica? Noi non ne abbiamo mai fatto una questione di nuovo, di futuristico o di mai ascoltato prima, abbiamo sempre puntato sulle emozioni e sul concreto.
Immaginate un vinile coperto da un manto di stelle, la puntina a seguire inusuali percorsi astrali per poi soffermarsi dentro infiniti solchi che richiedono l’intervento manuale per esser oltrepassati, un feticcio da collezionisti insomma.
Immedesimatevi un violento brano electro scritto da Annie Hall a trascinarvi nelle profondità più recondite accompagnati da linee di basso sontuose, robotici cut vocali e sferzate melodiche ad elettrizzare tutta l’aria intorno.
Lasciatevi condurre tra violacee nebulose a bordo della scia sinfonica disegnata da Andrea passEnger Di Maggio, sempre più ispirato, sempre più vicino a delineare solidi contorni intorno a quel pianeta techno che continua ad illustrarci con straboccante passione da tempo.
Provate cosa significa unire corpo e mente negli undici minuti di vera musica techno scritta da Louis Haiman, che è semplicemente uno dei migliori segreti americani e che qui ci grazia con una suite divisa in due parti carica di grooves elegantissimi e ritmo pressante ma sempre intriso di calore funk.
Infine aprite il cuore e lasciate pulsare le note di “Fountain”, siamo già ben oltre la musica, siamo proprio a ridosso di quel limite invalicabile che di colpo ci riporterà alla realtà, ed è proprio da qui che Furthr concepisce uno dei brani più significativi dell’anno, arrivando a toccare con mano una verità che forse non ci sarà dato mai scoprire del tutto.
Nella più perfetta delle contrapposizioni tra realtà e sogno, tutto questo accade e si materializza proprio sul pianeta terra, in un posto molto più vicino di quello in cui la vostra mente sarà proiettata.