Lo spettro elettronico della musica targata Nick Dunton, uno che ha la storia lunga ma troppo spesso lasciata intendere ai soli appassionati.
Nei ’90 entra a far parte della Surface Records, fondata da quel Richard Polson che poi diventerà suo amico e partner produttivo in una delle più splendenti macchine techno Europee: The 65D Mavericks. Richard Polson che ci lascerà poi nel 2006 creando un vuoto difficilmente colmabile.
I dischi di “The 65D Mavericks” sono uno specchio delle vecchie glorie Detroitiane, una summa che riesce a contenere tanto le gloriose vibe jazzate di Mike Banks quanto i grovigli minimalisti di Jeff Mills e Robert Hood con quella vena cosmico/acquatica che lascia intravedere inevitabilmente la scia Drexciyana. Un capitolo che forse vale la pena trattare in un futuro e più esaustivo articolo.
La storia continua portandosi dietro ideali musicali che sono di fatto lo stesso essere, pensare, vivere e Nick Dunton riprende il lavoro materializzando una nuova entità che prende il nome di Ever Vivid. Un primo abbaglio lo scorso anno con un disco che rimane un gioiello puro: Sketches Of My Life , pubblicato dalla sconosciuta Open Mind Recordings. Sono chiare sin da subito le nuove linee tracciate da Dunton che appare ancora visibilmente provato ed emozionato dalla perdita di Polson, ed il suo suono diventa così estremamente dolce, incontra l’electro in quella sublimazione fatta di melodie ariose, pads cosmici ed eliche acidule in “Lost Love” o ancora nel pianoforte in orbita dub di “Once”. Un suono se vogliamo più sognante, che ritroviamo di nuovo fiammante in questo nuovo lavoro pubblicato, per la gioia di tutti i nostalgici, di nuovo sulla Surface Records seguendo un primo volume pubblicato lo scorso anno ed interamente incentrato su sonorità dub techno.
Due brani, il primo firmato Ever Vivid, il secondo con il proprio nome. E’ magia, è di nuovo magia, con un brano che decolla sin da subito su un cavallo techno alato, profondo e malinconico, poggiato in quella meraviglia melodica che sembra rincorrere certo soul nordamericano. Lastre di suoni che si elevano raggianti, un’architettura ritmica rotonda e precisa che sorregge una fuga verso l’ignoto. Questa è “Facing the Heavens”.
Sul lato B un bel corpo dub che riesce comunque a prendere le distanze dalla standardizzazione dronica verso la quale il genere si stà impigliando. Dunton risponde attraverso una serie di scie dalla timbrica ben distinta che in parte riprendono l’epica descritta come Ever Vivid ma con una sorta di restrizione tonale che tende a mantenere il risultato sotterraneo. Un brano da notte fonda, un respiro che si lascia udire quando intorno è tutto silenzio. Stringhe morbide che non vedono l’orizzonte ma che anzi raffigurano un cammino il cui arrivo non è segnato.
Vorremmo un album.