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Single Reviews /

Hyboid Where Androids Come To Die

  • Label / Astro Chicken
  • Catalog /
  • Format /
  • Released / Dicembre 2011
  • Style / ,
  • Rating /
    9/101
Where Androids Come To Die

Secondo mini album per Sebastian Hübert, fondatore della Astro Chicken e musicista electro di grande talento. Una label che come tante altre del panorama electro tende a mantenere un profilo basso incentrato su un moderno artigianato che da un lato tende a mantenere vive alcune radicali forme di gestione come la scelta del vinile, l’artwork, il packaging e la distribuzione (gestita in maniera personale ma definita al dettaglio),  e dall’altro segue scelte musicali fuori asse, lontane dal music business e fedeli a quella che possiamo ancora permetterci di definire musica concettuale. Dischi che seguono ideali ben definiti, senza ricorrere a mezzucci per poter apparire. Quindi, destinati a pochi, pochissimi avventori. E qui si spiegano la natura di certe tirature ridotte all’osso. 200 copie o giù di lì, questa è la condizione del voler fare le cose bene in questi tempi bastardi.

Con il suo pseudonimo Hyboid arriva a consegnarci questo nuovo intenso lavoro, che seppur sviluppato in un tempo che và di poco oltre i trenta minuti riesce ad imprimersi nella memoria immediatamente. L’intro di “Crush”, brano che chiude il primo lato del lavoro, è qualcosa che va oltre ogni epica, un giro di tastiere incerto, oscuro e tremendamente malinconico a rincorrere vecchi spettri compositivi intercettati verso la fine dei ‘settanta che lascia poi spazio ad una ritmica basica che tende a mantener alta la tensione emotiva del pezzo poi corredato da sciabolate di synth, organi sintetici e dal ricorrente, nativo giro melodico.

Ad aprire è stata invece la corrente electro “gobliniana” di “Encounter at Vorticon 6” con l’organo a scintillare paranoia, manovre acide dal basso precisione di cassa a scandire tempi ed umori di un disco vicinissimo a storie passate ma terribilmente orientato a viaggi verso galassie inesplorate. Succede in “Space Haze”, un brano che viaggia nel cosmo con tutto il suo corredo di luccichii ed oscurità, voci aliene, innesti androidi ed atmosfere indagatrici.

La b-side apre con la potenza ritmica di “23rd Century Nosferatu” brano che unisce in maniera definitiva la solidità delle architetture disegnate da Hyboid allo sfuggevole sensorama dipinto dalle macchine. Un viaggio senza fine, un’immersione in territori musicali che prendolo l’electro soltanto come spunto per più approfondite esperienze psichedeliche in bilico tra rock progressivo e cosmic sound. Testimonianza se vogliamo ancor più diretta ne è “Morphium”, fungo allucinogeno che supera di poco i due minuti di durata ma dà sfoggio ad un caleidoscopio di forme e colori di impressionante intensità.

Non c’è troppo tempo da perdere…

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