Finalmente pronto per la consegna questo ambizioso progetto della Stroboscopic Artefacts, label dal respiro internazionale creata de quello che possiamo vantare come un talento tutto italiano, Luca Mortellaro in arte Lucy. Un artista che già in passato ci aveva piacevolmente stupiti con l’album di debutto dal titolo “Wordplay For Working Bees”, lavoro che mise in luce le qualità compositive dell’artista ponendolo anche come uno dei nomi da seguire per le nuove avanguardie techno.
Nel frattempo la sua giovane label ne ha fatta di strada, battendo continuamente sul filone techno più oscuro e sperimentale che ci ha fatto apprezzare anche altri talenti come Xhin (su tutti) o i Dadub.
Questo progetto invece è quel che possiamo considerare la consacrazione di un sogno, quello di dar vita ad un gioiello per collezionisti che si pregi anche del fatto di contenere musica destinata all’ascolto, oggetto che in questo caso riflette tutta la cura con la quale è stato progettato e realizzato. Parliamo di un boxset di forma circolare in alluminio contenente nella prima release, due vinili da dieci pollici trasparenti, corredati da grafica minimalista che rimanda al cosmo ed alle sue infinite possibilità di interazione tra gli elementi.
Interazione che ritroviamo anche nel concept sonoro, che è quello di raccogliere una serie di composizioni che azzarderei nel definire inusuali da parte degli artisti coinvolti nel progetto.
Si inizia con le note del padrone di casa Lucy, che ci regala una gemma ambient molto evocativa, un intro di note che si susseguono all’infinito mentre ad emergere è un battito cavernoso e lento che accompagna delle sottili rasoiate elettroniche arricchendo la struttura e coprendola di un manto dorato.
Un brano intenso che scuote lo stomaco con le sue forti vibrazioni.
Sentimenti replicati nel secondo brano, “Vladimir”, questa volta con una melodia più stridula e quasi priva di ritmo. Un ambientazione a suo modo soave, sorretta da un organo in sottofondo che lascia risaltare i suoni in superficie mentre una tetra foschia colma i vuoti tra le parti.
Il secondo lato è opera di Borful Tang, artista sconosciuto che confeziona due ottimi brani. Sulla prima traccia “Meet the band” disegna uno scenario urbano proprio nel mezzo di un isolato centro abitato servendosi di field recordings e suoni di varia natura, riuscendo in quella delicata operazione che è il montaggio di queste scene così complicate. Tra le pieghe alcuni riverberi di vecchi suoni analogici che donano al tutto una sorta di contrasto tra il calore del citato suono e la freddezza della scena illustrata dal brano.
Nel secondo solco, “The Seduction Ends in Tears”, scivola in un suono ambient ancestrale tutto fumi, voci e di nuovo ribollii dal sapore vintage.
Il secondo dei dieci pollici è preso a battesimo da Perc, artista ormai affermatissimo in ambito techno che in questa chiamata alle armi mette giù un canovaccio musicale dall’altissimo potere descrittivo. “Paris”, primo dei due brani è una perfetta suite per camminate notturne, con il suono a giocare con la pioggia e gli stati d’animo altamente influenzabili, un rasoio che opera con destrezza, tagliando l’aria per modellarla intorno ad una serie di sensazioni maligne e paurose.
In “Molineux” invece assistiamo inermi a quella che può esser osservata come un elevazione al cielo, un suono avvolgente che sembra sollevarci dopo le ansie della precedente prova.
Quel che emerge, a carattere generale, è una ricerca lunga e meticolosa, o meglio, un esatto momento, immagino nella mente di Lucy, nel quale a giungere sono state diverse fonti sonore in qualche maniera accostabili, una scintilla che ha dato vita al progetto.
A chiudere il secondo vinile i brani di Kevin Gorman, una strana storia, uno che fin’ora ho sempre considerato parte di una techno molto distante dalla mia idea, il classico nome che non cambia la storia, ma che a ben vedere conta un album addirittura nelle fila della Gigolo Records. Ok del periodo di decadenza massimo, ma Dj Hell non è che sia proprio l’ultimo coglione.
Bene, Gorman sperimenta con suoni acquatici in “Frequency Phase Part I,II” in uno scampanio subacqueo molto rilassante che regala fughe di memoria in direzione di un passato analogico oggi molto in voga, poi chiude con un segmento funebre come “Frequency Phase Part III”, una melodia struggente e sporca accompagnata da una voce femminile che dissolvendo rilascia la sua carica atmosferica per salutarci in un modo che sopra tutto definirei degno.
Se volete un difetto, è nella durata di alcuni brani che forse avrei voluto maggiormente sviluppati, per il resto, un oggetto del desiderio al quale è difficile resistere.