Diciamoci la verità. Questa inesauribile ondata dub techno di stampo teutonico è giunta da tempo ad una inesorabile saturazione. Questa sterilità “ariana” riposta nei suoni, l’utilizzo quasi esclusivo di bassi e droni è spesso portatrice di poche ed aride emozioni. Ovviamente mai fare di tutta l’erba un fascio, lasciando la giusta gloria a chi se la è meritata. Uno di questi è proprio Francesco Baudazzi, aka Obtane che, insieme a Giorgio Gigli nel progetto Zooloft, ha saputo costruirsi una nicchia esclusiva ed al sicuro dalle più facili emulazioni.
E’ inequivocabile altresì notare che, in questi ultimi tempi, stiamo vivendo un gradito ritorno alle frustrate sonorità industrial anni Novanta. Basta vedere i lavori di gente come Ancient Methods, Henning Baer, Orphx solo per citarne alcuni.
Su questo treno in partenza (od in arrivo) per questo nuovo “industrialismo” ci sale di corsa anche Francesco che, sulla prestigiosa Surface di Nick Dunton ed in edizione limitata, fa uscire questo “The Black Nobility of Venice and Genoa”, un LP che ci inebria di tanta nuova e deflagrante energia.
Un lavoro che racconta l’altro lato di Obtane, fatto di sonorità grezze, metalliche, distorte, evocative delle radici più sperimentali e di rottura a cui si riconduce la techno tutta.
La prima traccia non lascia alcun dubbio. “C.A.M.E.A.” è acciaio fuso e pronto a colare sulle vostre teste mentre ti lacera i muscoli con sui taglienti riff ed un synth sincopato e dinamico che via via si apre e si modula a far male. In un attimo la mente vola indietro nel tempo fin alle prime produzioni di quelle due schegge impazzite di Neil Landstrumm e Surgeon, in quella potente fucina produttiva quale era la Tresor di Berlino.
Ma è “Rosa dei Venti” editata da 65d Mavericks (pseudomino con il quale Nick Dunton ed il rimpianto Richard Polson ci hanno regalato pagine di techno autentica) che ci scuote e percuote con violenza, sprigionando quell’energia che ti fa sobbalzare ed innalzare le mani al cielo. Grandiosa soluzione quella di scegliere un arcigno giro di synth che, in moto perpetuo e sfalsato rispetto alla tessitura ritmica di sottofondo, si incastra su una cassa ampia ed avvolgente preparandoci ad affrontare un battaglia sonora di frizioni metallurgiche e crudità industrial. Potenza e rabbia istantanea che in pochi potranno controllare.
“Propaganda 2” ed “Anello” (quest’ultima in tandem con Dino Sabatini, altro produttore italiano che si sta facendo ben apprezzare soprattutto all’estero) abbassano il tiro con una dinamica dub&dark dalle tonalità grigie ma meno esasperate. La prima rivisitando le cinematiche atmosfere tanto care alla missione Zooloft, la seconda sviluppando un interessante estetica a metà tra dark ambient e dub techno dall’andamento progressivo dove algidi pad, crepitii, droni ed incursioni industriali evolvono in un crescendo di rara intensità. L’ascolto in cuffia diventa obbligatorio.
In conclusione “The End?” è paragonabile solo ad un viaggio nel cosmo più remoto. Anche se poco più di quattro minuti di durata ne limitano un po’ il godimento (ma sarebbe ingrato chiedere di più) Francesco Baudazzi chiude in bellezza con la sua attitudine “trance”, onirica e sognante, fatta di fluttuanti tappeti, bleep interstellari ed ingegnosi loop ritmici per una delle più belle decompressioni fin’ora ascoltate.
Con questi presupposti diventa lecito sperare in un album con queste caratteristiche da un artista in assoluta ascesa.