Torna il genio di John Elliott con la sua cretura Outer Space, torna dopo un omonimo album pubblicato nel 2010 per la Arbor, disco capolavoro e futuro classico per gli amanti della synth music acquatica e psichedelica.
Un artista mai fermo John Elliott, tanto che è quasi impossibile star dietro ai suoi progetti ed alle sue produzioni, la stessa ragione sociale Outer Space non conosce sosta, con una mole di pubblicazioni elevatissima tra tape e vinili.
Arriva proprio in questi giorni, attraverso la Spectrum Spools questo nuovo magnifico album intitolato Akashic Record (Events: 1986 – 1990) che riprende proprio dalle caratteristiche sonore del disco su Arbor catapultandoci ancora in quel regno di suoni subacquei che sembrano farci galleggiare come nel limbo materno.
Elliott ripristina il “vecchio” setup per l’occasione, avvalendosi di Arp Solus, Korg Ms-10/20, Moog Voyager, Roland Rs-101 ed altre squisite macchine oltre che della collaborazione di Andrew Veres, Philip Whiteside e Drew Mcdowall.
I dieci minuti abbondanti della prima composizione, “Ellipse”, rendono subito l’idea e segnano il segmento più importante dell’album, qui si apre con un intro cavernosa dove i synth sembrano scaldarsi per l’avvento di quell’angelico circo psichedelico che subentra dopo qualche minuti.
Eccoci di nuovo dentro il viaggio, con un turbine centrale a dettare il movimento ciclico mentre tutto intorno si sviluppano conturbanti innesti di terze parti che completano un corpo vivo e brillante che spende poi gli ultimi minuti per fornirci un validissimo esempio di ambientazione aliena.
Nel secondo brano, “11:38”, si entra nel vivo della corrente cosmica, John è un corriere come lo era Shultze 40 anni fa, qui le tastiere decollano e riempiono tutta l’aria di suono, così addensata da inebriarci la mente e trasportarci fuori dalle coordinate della ragione. Peccato soltanto che non duri in eterno.
“The Fifth Column”, terzo brano in scaletta è ancora più aggressivo, qui le macchine compiono una progressione di potenza inaudita e sembrano trasportarci nel profondo blu dei fondali marini in velocità.
In “October 27th, 1989 – Bay Village, Ohio” il fuoco viene spostato sulla melodia, qui infatti oltre a tutto l’ordine di ciclicità esoterica fin’ora messa in campo subentrano dei soli di tastiera che raccolgono gli ultimi residui di umanità nella parte iniziale del brano, per poi collassare in una bolla psichedelica astratta che tanto eredita dal free jazz.
Nell’ultimo brano, “February 8th, 1990 – Ashland, Ohio” si rientra alla base, tutto assume i contorni della dolcezza, con i synth a sgocciolare melassa pura in una suite che volteggia morbida tra le acque per poi, lentamente, tornare a dormire lasciandoci in attesa del prossimo viaggio.