Secondo album ufficiale per l’acclamato duo Juju & jordash, una macchina da live apprezzatissima che ha sempre mantenuto le alte aspettative riversate a suon di grooves intelligenti che hanno ricalcato nel tempo il cammino di house e techno con una visione per alcuni versi sperimentale, che in alcuni casi è stata forse d’intralcio alla loro musica. Parlo soprattutto del primo album pubblicato, l’omonimo Juju & Jordash che a mio avviso conteneva alcuni passaggi non del tutto riusciti.
Ora si presentano con un nuovo, mastodontico lavoro pubblicato in un impegnativo triplo vinile da 180 grammi dal titolo Techno Primitivism, un album incredibilmente intenso che sviluppa, finalmente in maniera compiuta, tutto il lavoro di sperimentazione avanzato negli anni, costruendo un disco per alcuni versi di difficile digeribilità (tutte le parti dance sono imperversate da poco ortodosse sovrapposizioni, tricks ed oggetti vari) ma che è un gran bel sentire per chi dalla musica elettronica esige sostanza e discorsività.
Il lavoro è il risultato di sessions lavorative dove l’elemento live è stato mantenuto sempre in primo piano, i brani sono quindi dei cut dove l’improvvisazione è la vera forza e dove nulla è derivante da una rigida progettazione a monte.
Il primo brano “Stoplight Loosejaw” è una lunghissima (14 minuti) suite psichedelica nella quale poter scorgere tutto l’impegno e la dedizione dei due artisti che confezionano un brano totalmente free dove la forma dance è soltanto un pretesto sul quale andar ad agire liberando oscure linee di basso, percussioni stralunate stop&go inattesi, rimembranze d’oriente, spezie colorate e tanto, tanto calore. Un brano che enuncia con completezza gli intenti del disco, ovvero quel non fermarsi di fronte al prodotto preconfezionato, bensì spingersi oltre, lasciando all’immaginazione il potere di viaggiare su un brano di musica elettronica “strambo” ma riuscitissimo.
Nella B-side convivono tre brani melodici di gran spessore, si parte dal bellissimo downtempo di “Rogue Wave” caratterizzato dal suono della chitarra e della batteria elettronica molto semplice ma efficace, poi si passa con gran maestria per l’armonica strappalacrime di “Shakshuka Dub” che vira in un dub sotterraneo da suonare nei club più sudici ed attenti. Chiudono i tre minuti di percussioni ed arpeggi di basso di “Slow boat to Haifa”.
La c-side parte con un brano house che flirta con l’old school, “Powwow” è la potenza dell’house di Chicago aggiornata alle melodie del duo. “Peligroso” è un inserto sperimentale perso tra electro e vapori d’oriente. “Dr. Strangepork” è un graffiante e “stonato” brano techno fatto di oscurità, melodie fuori tempo e da un corollario di elettronica digitale ricco di sorprese.
“Track David Would Play” pare la d-side e posso credere sia un brano voluto da Move D… Magari proprio dopo averlo ascoltato in preview. Si tratta comunque in un oscuro e profondo solco house/techno con un synth malefico a serpeggiare sul fondo mentre le note del piano regalano emozioni col contagocce. Quando il serpente esce allo scoperto ed il groove sale alle stelle non ce n’è più per nessuno, una perfetta macchina dance da propinare nel profondo della notte.
“Echomate” prosegue sull’onda trascinandoci per altri sette minuti nella suadente scia dance di Juju & Jordash.
Finalmente sulla side-e il brano che da il titolo al lavoro, “Techno Primitivism appunto”, un concetto che in questo 2012 è stato a dir poco abusato, partendo, da come la vedo io, dallo splendido lavoro di concetto introdotto da Andy Stott (che, parliamoci chiaro, non è stato assolutamente il primo) con “We stay together/Passed Me by” e che ha avuto numerosi “affianchi” concettuali. In questo caso ci troviamo di fronte ad un meraviglioso brano techno ispirato e profondo dove le sonorità possono riportarci all’Africa e ricongiungerci al tribalismo, ma qui continuiamo a percorrere territori maggiormente tecnologici che anche grazie al rotolante giro acido che interviene dalla metà circa fino al finale, trova un equilibrio tra passato e presente veramente interessante.
“Loosey Goosey” spinge sull’acceleratore mettendo il sigillo al lato più dance dell’album.
“Shrublands” fa centro in un cerchio psichedelico dove tornano a farsi vivi i profumi d’oriente, in un brano acre che punteggia continuamente senza mai esplodere, creando un vortice denso ed inestricabile.
Il giro di note che apre l’ultimo brano “Way Of The Road” è estasi pura, peccato per l’evoluzione che non è a mio avviso azzeccatissima e fa scivolar via quel grumo formatosi nei primi secondi ma questo è poco di fronte alla sostanza dell’intero album.