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Kangding Ray The Pentaki Slopes

Kangding Ray ‎– The Pentaki Slopes

Ritorna su Raster-Noton Kangding Ray, alias artistico del produttore francese David Letellier, che aveva debuttato per la label nel 2006 con un album: “Stabil”, col quale consegnava al mondo la sua personale visione di musica elettronica, composta di suoni morbidi, dolci, field recordings, droni, ritmiche spezzate, ambientazioni poco orientate al dancefloor.
Nel tempo l’artista ha evoluto progressivamente la sua estetica colorandola di toni più cupi e duri, come testimoniato dai due album che hanno seguito “Stabil”, rispettivamente “Automne Fold” nel 2008 e “OR” nel 2011, in cui David tira fuori una visione futuristica e sperimentale del suono elettronico, iniziando a mescolarlo col fuoco della techno.

Avevamo già assaporato nel 2010 con l’ep “Pruitt Igoe” questo albore di cambiamento e nei suoi svariati remix pubblicati nel tempo da svariate label il nuovo corso prende sempre più forza, fino a trovare la sua dimensione nei lavori pubblicati dalla nostrana Stroboscopic Artefacts, label ormai caposaldo dell’avanguardismo estetico applicato alla musica techno.

“The Pentaki Slopes”, ultimo disco uscito nel 2012 per la Raster Noton, è ispirato alla fantomatica leggenda della montagna Pentaki; i tre brani raccolti in questo ep, intitolati appunto “North”, “Plateau (a single source of truth)” e “South” racchiudono tra le loro note questa leggenda (rappresenterebbero il versante nord, quello sud è un altopiano in cui si narra si raggiunga la fonte della verità).

“North” sul lato A, inizia con un vibrare oscuro, percussivo e possente, un serpeggiare velenoso, sventagliate fuse a suoni alieni: un tappeto corposo sul quale si insinua una modulazione di ammalianti melodie che alla fine della traccia tra echi e riverberi diventano sole protagoniste della scena e vanno a intersecarsi per pochi secondi alle ritmiche scarne di “Plateau (a single source of truth)”.
La forza narrativa della creazione sonora di David a questo punto rallenta, un kick batte sordo a cadenza regolare, mentre i sintetizzatori disegnano atmosfere rarefatte e oniriche, una voce sibilante ci raggiunge attraverso l’oscurità fino a condurre in un loop (un locked groove) che estende la traccia all’infinito.

“South” è sola protagonista sul lato B, con note gravi e sotterranee che crescono di intensità su un mantello cosmico, preludio all’ingresso di melodie psichedeliche che inducono a uno stato di trance fino all’esplosione della sezione ritmica; verso la fine della stesura del brano si raggiunge un breve momento di decompressione che poi sfuma in una coda sibilante sulla quale si rincorrono droni e segnali spaziali.

Qualora Letellier stesse portando del tutto a compimento una metamorfosi o una evoluzione della sua figura artistica c’è da dire che il risultato è estremamente interessante, la sua visione della techno è futurista, mai banale, piacevolmente influenzata dai lavori passati, di cui riprende alcune sperimentazioni atmosferiche, applicandole alla stesura di brani pensati fondamentalmente per il dancefloor.

Non è un disco epocale, ma mi sento caldamente di consigliarlo a chi nella techno cerca non solo energia, ma anche riflessione, atmosfera, una esperienza sensoriale che arricchisce e allarga gli orizzonti sonori.

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