La Morphine Records è entrata in una fase di “vivo” nella quale sta delineando delle coordinate nuove per la sua musica, è naturalmente un processo evolutivo che viene da lontano, trainato dalla passione che Rabih Beaini (Morphosis) sta impiegando nel progetto.
La ricerca di un linguaggio che possa unire la techno a differenti forme comunicative come l’industrial, il noise, la new wave ed il jazz astratto è il punto esatto dove ricercare traccia di questo cambiamento. Sin dal suo fulminante album “What Have We Learned” Rabih ha lasciato intendere quanto la contaminazione fosse un elemento primario del suo modo di comunicare, ed ora attraverso la Morphine Records (che ha riaperto i battenti dopo un periodo di fermo durato 4 anni) sta scrivendo una nuova, entusiasmante storia musicale servendosi del talento di alcuni outsider come Container, gli stessi Upperground Orchestra, Hieroglyphic Being e non ultimi i Metasplice.
Il duo con base a Philadelphia è una delle scoperte dello stesso Rabih che non ha esitato a pubblicare un primo Ep intitolato “Topographical Interference” nel 2012.
Un suono sostanzialmente sperimentale e dannatamente oscuro che eredita dall’industrial tutta quella gamma di distorsioni metalliche che fanno la parte grossa nella loro musica, ma questo non basta, anche perché altrimenti dove sarebbe la novità?
Piccolo passo indietro. Nell’Ep dello scorso anno non tutto era messo a fuoco, c’erano delle ottime idee, più che altro la presentazione di un suono che cercava di inserirsi in un contesto diverso dal solito, a fatica, perché di musica difficile parliamo. Quel che a mio avviso è mancato è un collante groovistico che potesse amalgamare alla perfezione il passato con il presente del duo.
La svolta è adesso.
Infratracts è l’album di debutto dei due musicisti americani che riescono a mettere a segno una panoramica perversa e futuristica del suono elettronico, trovando l’asset sulla rappresentazione di una personale idea di musica techno e continuando a sperimentare su atmosfere crude ed angosciose.
Un equilibrio perfetto tra le parti, un album che in otto brani mette a nudo un corpo selvaggio ed incandescente che incontra il ritmo in più battute, sin dall’iniziale “Arterial Protocol” che ruggisce metallica su un fuoco percussivo soffocato mentre intorno si sviluppa un incendio psichedelico di natura aliena.
In “Prismatic Sway” il basso lancia colpi profondissimi che si stagliano tra cristalli di suono e synth cavernosi che sembrano circondarci completamente con un opprimente energia oscura.
“Dioxinition” è un treno ritmico che parte dal basso insieme ad uno stridulo suono cadenzato, il livello di pressione è al massimo, con il ritmo che sembra voler uscire per distruggere il mondo mentre invece viene mantenuto a forza dentro un binario ipnotico illuminato da schegge sonore ed una straniante melodia che ha a che fare con l’oriente.
“Cylindrics” trova un tempo regolare ma lentissimo e ci sviluppa sopra una serie di sonorità vaporose. I raddoppi danno proprio l’idea di un treno in progressione, dalle nebbie emergono deboli segnali sonori che completano la scena prefigurando il successivo scenario alieno descritto da “Novaglide”, una soundtrack fantascientifica dal grandissimo potere evocativo.
“Concrode” è una sorta di noise “melodico” dove la sinfonia è data dal cambio di frequenze. In “Micrograval Spheres” assistiamo al fenomeno inverso, i suoni diventano limpidi, lunari, notturni, un brano ambient che sembra voler instaurare un sentimento pacifico e rilassato. In chiusura, con “Iv Phenol”, rumore e limpidezza entrano in contatto, è evidente che ci troviamo a vagare nello spazio, raccogliendo sensazioni e suoni non del tutto identificati.
C’è da perderci il cervello.