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Charles Cohen Album Trilogy

Charles Cohen

Charles Cohen improvvisa e scrive musica dalla sua base operativa di Philadelphia da oltre trent’anni, siamo infatti agli inizi dei ’70 quando l’allora giovanissimo artista inizia a sperimentare intorno alle possibilità espressive del Buchla Music Easel il sintetizzatore messo a punto da Don Buchla nel 1963 in California.

Siete tutti giustificati se il nome di Cohen non vi dirà nulla di nuovo, infatti il talentuoso musicista è rimasto in ombra per tutta la sua decennale carriera, mettendo anima e corpo in progetti che verrebbero definiti minori come sonorizzazioni di spettacoli teatrali, installazioni e performance di improvvisazione.

Le testimonianze registrate più significative sono quelle sotto lo pseudonimo di The Ghostwriters, progetto condiviso con Jeff Cain con il quale ha pubblicato un singolo “Music From No Man’s Land”, un album “Objects In Mirrors Are Closer Than They Appear” ed ancora una produzione pubblicata su tape dal titolo “Remote Dreaming” in un’arco di tempo che va dal 1981 al 1986.

Nonostante la poca familiarità con l’universo discografico l’uomo ha sempre composto musica attraverso il suo amato sintetizzatore, un gioiello modulare originariamente progettato da Don Buchla per facilitare la creazione di musica elettroacustica, poi scoperto da una gamma più vasta di musicisti elettronici ed ampiamente apprezzato per la versatilità e le infinite possibilità di variazione sui toni.
Un artista destinato a rimanere in ombra, senza che la sua musica potesse avere la possibilità di incontrare un pubblico più vasto di quello che finora ha avuto la fortuna di incrociare i suoi passi.

E’ in questo contesto che si inserisce la Morphine Records e nello specifico Rabih Beaini, trovatosi immerso nei racconti sulle gesta del musicista americano ha approfondito il discorso entrandoci in contatto per coglierne personalmente la caratura artistica e, soprattutto, umana.
Da questo primo approccio si arriva alla scoperta di una sterminata produzione ormai “dimenticata” persino dall’artista, musica che lo stesso Rabih stenta a credere sia rimasta sepolta per tanto tempo. La decisione era presa, ed ora la Morphine ci consegna ben tre album che vedranno luce a partire dai primi giorni di ottobre. Inoltre, un isolato episodio riversato in una nuova dimensione nell’Ep che precede tutto e che va ad arricchire la serie dei Redose.

Il primo album prende il nome di The Middle Distance ed entra subito nel vivo con i tribalismi tecnologici di “Club Revival Performance”, otto minuti di Africa vista dallo spazio. La successiva “The Middle Distance” è invece uno sguardo verso il vuoto lanciato sempre da orbita spaziale, una sorta di sci-fi isolazionista di gran classe. “UTEP1” riprende il discorso ritmico ricreando una sorta di samba robotizzata. “Dance Of The Spirit Catchers” è techno vista dall’esterno, inconsapevolmente. Un groove naturale che è una vera manna dal cielo. Le vibrazioni basse della successiva “Camera Dance” se vogliamo sono ancora più elettrizzanti, un’estetica lussuosa alla Art Of Noise su un brano che è energia allo stato puro. In chiusura un mostro acido come “UTEP2”, vi sfido a non aver pensato alla Roland TB-303, meravigliose illusioni.

Il secondo album, Group Motion, si fa largo tra due lunghe suite intitolate semplicemente “Performance A e B”, entrambe sopra i dieci minuti di lunghezza. Sul primo lato è quasi impossibile non notare una certa affinità con musica come quella riproposta oggi da personaggi come Bee Mask o Panabrite, un incredibile viaggio nella purezza del suono, con arpeggi, gocce di suono limpidissime ed un crescente groove ipnotico che non ti molla più fino alla fine, assecondando i cambi d’umore e le mutazioni tonali che imperversano tutto lo spettro. La B-side è uno scorcio ambientale nel quale si susseguono suoni di corde metalliche, echi che somigliano a ragli d’asino, nebbie impenetrabili ed atmosfere da fine del mondo.

Music For Dance And Theatre, terzo ed ultimo album, è composto di dodici brani che ci fanno immergere nelle possibilità dello strumento e nella creatività del musicista di Philadelphia. Dall’iniziale “Water” che avanza tra arpeggi che sembrano ricreare tamburi tribali su un sottobosco notturno e melodioso, passando per le arie classiche di “Blue Krishna”, le melodie orientaleggianti di “Shopping Cart Lady” (che tra l’altro ha dei suoni vitrei da pelle d’oca), alle variazioni tonali della scurissima “Overture”, alla lunghissima “Sunrise – Women – men” (un brano in continua evoluzione che sfocia su un finale free con tutti i colori del jazz e del funk più psichedelico), ancora le incursioni quasi technoidi di “Tubs”  per chiudere con le note solenni di “Duos-Solos”.

Non bastasse, a precedere tanta bontà arriva un Ep per la serie Redose dove Morphosis prende in consegna “Dance Of The Spiritcatchers” dal primo album per tramutarla sul primo lato in una camera di specchi con un diamante al centro, sul secondo in un brano techno che suona come la bellezza.

Non credo serva aggiungere altro.