Ghiaccio crudele infranto dal suono. Christian Wünsch, pur essendo un veterano del movimento techno, è un nome ultimamente sempre più presente nel circo mediatico delle piattaforme informative e dei party dediti alle sonorità elettroniche più spinte.
Tedesco di origine ma cresciuto nel nord della Spagna dove risiede e gestisce (dal 2001) la sua own label Tsunami, Wünsch è una testa dura da sempre compagno di scorribande con Oscar Mulero (spesso in coppia su Pole Rec.), pilastri portanti dello sviluppo e maturazione del pensiero “hard and dark” della penisola Iberica. A questi si aggiungono figure come come Exium e Reeko, altri tasselli di un puzzle d’acciaio color antracite, fautori di release e performance accolte e valutate positivamente ben oltre i propri confini nazionali.
Le produzioni di Wünsch hanno accenti industrial, abbracciano solidamente le basi ritmiche della Motor City con 4/4 spesso velocissimi e crude architetture di loop per stomaci allenati a digerirle. L’ EP “Spectral Lines” esce per la Semantica di Svreca, label che conosciamo bene. Qui gli abbiamo dedicato uno speciale che racchiude la storia e la filosofia di uno dei progetti artistici più significativi e “nuovi” degli ultimi dieci anni e che proprio in questi giorni traguarda la sessantesima uscita (alcune di queste leggermente sotto le aspettative, ma nel complesso fin’ora rilascia un prezioso contributo alla storia contemporanea dell’elettronica underground).
Il drone industriale di “Gamma” sul lato A è lacerante. Cassa secca, effetto basso-sub a far vibrare malamente la membrana del timpano ed un ronzio ossessivo, stratificato e sibilante, che evolve in taglienti modulazioni portandoti in luoghi altamente compressi dove l’unica fonte acustica sembra essere l’algido e terrificante sgretolio dei ghiacci polari. Piacere e dolore nella stessa emozione. Una scrittura che si candita come una delle migliori intuizioni dell’anno in corso.
Sul B side troviamo la frustrante tensione di “Unexplained Light” con un drum pattern pieno, solito effetto sub e piattini vari a rinforzare mentre lo spazio sonoro è aggredito dai bagliori di un lead mai statico. “Black Lab” chiude in versione techno-dubstep con un incastro ben riuscito tra frizioni in sottofondo e due fluttuanti giri di synth che incalzano sovrapponendosi circolarmente.
Solo per chi sa metabolizzare a dovere. I palati fini si astengano