La prima celebrazione dei due maestri risulta un’ opera, un complesso, i cui particolari evidenziano con forma di espressività aspra la struttura, modellandosi nel loro spazio, generando un linguaggio di vigore, uno stato rarefatto di catarsi.
Con Grapes and snakes, Aaron Dilloway, originario di Brighton ex membro degli Wolf Eyes e Jason Lescalleet, artista poliedrico e sperimentale di musica elettronica, si esibiscono schiettamente dichiarando il significato dei loro intenti senza diagrammi formali, anzi con sanguigna durezza e polemica astinenza da ogni finitura gradevole fine a se stessa. L’ utilizzo di sintetizzatori puramente analogici e di una manipolazione quasi feticista del nastro dà vita ad un meticolosissimo studio di toni e frequenze basse che portano avanti in tutto il loro svolgersi compiendosi in un quasi parto gemellare di due forme complementari.
Una suite, i cui primi venti minuti si chiamano Shattered capsule; Un continuo sperimentare dei due, un incedere morente di sintetizzatori; un corridoio che termina in una valle d’ abisso nella quale si è avvolti da un’ atmosfera intaccata da crepitii che si consuma in uno spazio senza gravità, un’ ascensione metallica che ci inserisce in maniera propedeutica in Burning Nest tramite facciate attive in vista, superfici rugose, suoni che si propagano fino a preparare l’ ascoltatore ad una rigenerazione attraverso le proprie distorsioni.
Con Burning Nest si arriva a quaranta minuti in tutto, il pensiero viene chiamato a giustificare le sue degenerazioni. Le due menti riescono ad unire numerevoli e differenti riferimenti da freddezze industriali a spunti di “non techno” brutale incorniciando il tutto in un distorto armonico, raggiungendo verso la metà un picco fortissimo di suoni duri che spingono l’ ascoltatore nella linea limite di sopportazione, concludendo con un finale non solo degno di un’ elaborazione ben riuscita ma quasi personificato in una vittoria.