E’ incredibile come tutto ciò che tocchi assuma inevitabilmente uno status elevato, in Dj set è ormai inarrivabile, un connubio pressoché perfetto di esperienza, conoscenza, dedizione e tecnica, sembra quasi assuma una forma astratta, si renda spirito per donare felicità a chiunque si trovi nel suo raggio d’azione.
Questo Ep è una collaborazione particolare, un disco che sulla carta è pronto a cavalcare tutto l’hype che la The Trilogy Tape si porta dietro, ma c’è di più, perché a volere fortemente il tutto è una marca d’abbigliamento, la Palace Skateboars (già Supreme) che è in una fase d’investimento acuto (vanta due manovre di marketing insieme a Reebok e Tate Modern) ed ha puntato sull’asso di Detroit per attirare l’attenzione del pubblico clubbing più attento.
Lavorare per soldi, sacrosanto, legittimo, gli stessi set dell’uomo viaggiano a cifre piuttosto sostenute ma chiaramente stra-meritate se pensiamo che altri innominabili individui hanno la faccia tosta di chiedere dieci volte tanto. Ecco quindi che anche in questi ambiti torniamo a parlare di lavoro, pagato, ed ecco che quindi tutte le malelingue sono pronte a scommettere sulla superficialità di un prodotto del genere.
Theo Parrish, grazie a Dio, non è così, lui ha una marcia in più, non è pronto a svendersi, non sa forse neanche cosa significhi. D’altronde è un nero di Detroit, uno per il quale l’anima è più importante del corpo, e la musica è sinonimo di salvezza.
Sono tre i brani, con il lato A mono traccia sul quale viene inciso un sogno sci-fi da quasi otto minuti intitolato “71st & Exchange Used To Be…”, brano che da anche il titolo al lavoro. In entrata una serie di percussioni ovattate che ci fanno da subito immergere nel rito tribale, poi entra il piano e da li in poi esplode un bouquet incredibile di synth e ritmi con quelle inclinazioni melodiche aliene tipiche dell’house targata Parrish, un suono che ha forma negli stralunati grooves ma cerca l’ignoto in quelle incoerenti (leggi innovative) scelte compositive che marchiano a fuoco uno stile unico e difficilmente replicabile. Se avete bisogno di capire cosa significhi fare house a Detroit, eccovi serviti.
Quando iniziano gli accordi jazz/funk di “Petey Wheetfeet”, primo brano della b-side, ad emergere prepotentemente sono i ricordi dei set sentiti suonare all’uomo, scariche adrenaliniche pure a suon di vecchi 45giri sul genere, e qui l’omaggio è sentito e dannatamente riuscito, con un impianto ritmico atomico a servire corde di basso e chitarra che al solito suonano come un vecchio ubriaco che canta al chiarore di luna.
“Blueskies Surprise” sorprende con piano e batteria in un intreccio di sublimi melodie sempre sostenute da un ritmo profondo e viscerale come l’animo gioioso di questo artista che nella musica ha trovato la vera salvezza.
Un Ep il cui valore, oltre ad essere musicale è sulla bontà e l’onestà di chi ha fatto diventare la passione un lavoro, mantenendo intatto il proprio codice morale e facendo in modo che le fiamme della creatività ardano sempre alte e libere.