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Ariel Kalma Osmose

Ariel Kalma - Osmose 300x300

La natura restituisce l’uomo alla musica e viceversa. È chimica del suono, lenta osmosi. Un processo introspettivo ed epidermico che il sassofonista Ariel Kalma fece proprio alla fine degli anni Settanta, anticipando di gran lunga l’afflato cosmico e il modus operandi di un’intera generazione di artisti contemporanei, alle prese con field recordings e altri esperimenti.

Studente di computer science ma spirito nomade, tecnico studio per Pierre Schaeffer e turnista per il cantante pop Salvatore Adamo, il francese riversò in “Osmose” (1978) le visioni in note del suo terzo occhio. Se la coscienza e l’arte si erano ormai espanse, non potevano che congiungersi inevitabilmente con la natura, cercando di divenire parte del tutto.

Il concept del suo secondo lavoro, stampato dalla Société Française De Productions Phonographiques (SFP), nacque dall’incontro con un altro personaggio affascinato dall’Oriente: lo scultore e fotografo Richard Tinti, di ritorno dalla foresta pluviale del Borneo, dove si era avventurato munito di un registratore Nagra, due microfoni e una piccola macchina fotografica.

L’obiettivo del field recorder ante litteram era, innanzitutto, immortalare le numerose specie di uccelli endemici presenti sull’isola, suddivisa in tre Stati, Malaysia, Indonesia e il ricco sultanato del Brunei, nonché terza per estensione sul globo terracqueo. In piena luce o all’ombra di alberi secolari, Richard Tinti riuscì ad archiviare una moltitudine di cinguettii.

Ariel Kalma, dedito allo yoga e attento conoscitore della musica indiana, non poté che apprezzare il contenuto delle registrazioni che, una volta in loop, potevano ricreare un vero e proprio inedito habitat sonoro, restituendone un ascolto alieno, immanente, profondo, interpolabile con mezzi elettronici e strumenti a fiato, coniando così uno stile transglobale.

L’album del duo fu originariamente concepito come un doppio LP, la cui seconda parte da destinare ad alcuni estratti field recording di Richard Tinti. Dopo aver raggiunto quotazioni importanti on-line, la prima parte di “Osmose” (2013), rilasciata anni fa in cd con due bonus track di Ariel Kalma, è stata fortunatamente ristampata dall’italiana Black Sweat Records.

I primi secondi del lato A sono una dichiarazione d’amore nei confronti della verde e lussureggiante foresta pluviale: i suoi rumori permeano l’atmosfera e diventano un continuum in Saxo Planetariel, il cui volume non è mai smorzato, nemmeno quando il sassofono, registrato durante un concerto sotto le stelle al Paris Planetarium nel 1977, prova invano a sovrastarli.

Uno schema compositivo ripetuto con inalterato successo in Message 18.10.77: nove minuti di raccoglimento interiore tra delay, flanger e tastiere che non disturbano affatto il respiro della natura. Segue una ninna nanna eterea, chiamata Planet-Air e registrata con l’armonium della chiesa di Saint-Julien-du-Sault, al cui incedere si accorda il canto degli uccelli.

L’eco di un flauto tra gli alberi dischiude il lato B come un fiore alla luce di un nuovo giorno: Forest Ballad è un graduale crescendo di suoni, a cui partecipano gli animali con i loro versi. Manege si configura, invece, come la traccia maggiormente intrisa dello stile estatico a lungo ripetuto nel genere kraut degli anni Settanta tipico, ad esempio, dei Popol Vuh.

Dalla registrazione casalinga di tre tastiere al dialogo con grilli, lucciole, rane e altre creature notturne: il risultato è stupefacente. Infine Congmo, una creazione ad hoc per lo spettacolo “Voyage Au Centre De La Tete” (1973), con il marranzano e i più svariati effetti ibridati ai tamburi di guerra degli indigeni del Borneo. L’alba di una new age anche compositiva.