Musica e motori. Tante gioie e zero dolori. Una formula in grado di riassumere una vita al massimo, come quella di Angel ‘Pocho’ Gatti, arrangiatore, direttore d’orchestra e, soprattutto, pianista argentino di nascita e italiano d’adozione. La recente ristampa del suo unico atto d’amore nei confronti del mondo delle corse, “Turbomusic” (2015) sull’etichetta tedesca Sonorama, si configura come opportuno tributo a un compositore forse poco noto al grande pubblico, ma dotato di grande talento, scomparso in forma anonima all’alba del nuovo secolo.
Riscoprire la sua opera, pubblicata per la prima volta dall’italiana BeB Record (1981), sedici anni dopo la sua morte equivale a fare anche un salto carpiato in un abitacolo di una Formula 1, perché Angel Gatti subì l’inevitabile fascino dei motori turbo, introdotti per la prima volta dalla Renault nel 1977 e in auge durante l’intero decennio successivo, perché in grado di coniugare efficacia ad affidabilità. L’album “Turbomusic” fu così diretta emanazione del rombo di uno sport mozzafiato dominato da parole chiave quali avanguardia, estro, improvvisazione, meccanica e rapidità.
Ispirato dalle imprese degli assi del volante come Nelson Piquet a Keke Rosberg, e senza mai dimenticare Gilles Villeneuve alla guida della leggendaria Ferrari numero 27, l’argentino fece proprio e riadattò in note un rumore noto a tutti, spettatori da circuito o telespettatori da salotto. Una sorta di colonna sonora per caratterizzare quei ruota contro ruota tra rivali che hanno segnato un periodo sconsigliato ai cuori deboli, quando le vetture erano esteticamente meno curate e, soprattutto meno ingessate da cavillose regole, con i sorpassi all’ordine del giorno.
Nato in una famiglia di artisti, con il padre violinista presso l’Orchestra Sinfonica del Teatro Colon di Buenos Aires, Angel Gatti imparò a suonare il piano prima d’iscriversi a scuola. Complice l’ingaggio per la NBC Orchestra, al cui vertice si ergeva la bacchetta di Arturo Toscanini, il musicista seguì il genitore negli Stati Uniti, dove studiò clarinetto e fu diretto da Leonard Bernstein. Il nuovo trasferimento fu a Milano, tra concerti jazz, arrangiamenti per i maggiori interpreti canori degli anni Sessanta e direzioni per trasmissioni Rai, palco di Sanremo incluso.
Il suo nome figura, infatti, tra i crediti di Non Ho L’Età (Per Amarti) di Gigliola Cinquetti, vincitore all’Ariston nel 1964, così come tra quelli di due successi di Johnny Dorelli, L’Immensità e Aggiungi Un Posto A Tavola, e sul retro delle copertine di alcuni 45 giri di Adriano Celentano, Bruno Lauzi, Ornella Vanoni e Tony Santagata. Dopodiché, l’argentino radunò alle sue dipendenze strumentisti di primo livello come, ad esempio, il sassofonista Gianni Basso, il trombettista Oscar Valdambrini, il batterista Tullio De Piscopo e il contrabbassista Giorgio Azzolini.
Nonostante i cambi di formazione, la Angel ‘Pocho’ Gatti Big Band rimase in attività per un decennio, incidendo vari lavori. Il successivo rientro in Argentina coincise con la messa a punto dell’Angel ‘Pocho’ Gatti y su Orquesta ma, complice il golpe del 1976, il musicista fu costretto a ripiegare ancora in Italia. Infine, dopo aver visionato i modelli Renault, e con la collaborazione di Franco Bignotto in fase di composizione, Angel Gatti realizzò “Turbomusic”, sulla cui copertina campeggiava la vettura numero 15 di Alain Prost, futuro campionissimo.
Sul lato A, tra strumenti a fiato e a coda, si staglia Don’t Problem Boys, intrisa di funk tropicale. Turbocinque aggiunge, invece, il groove disco. Dopodiché, tre tracce dedicate a storici circuiti della Formula 1, vale a dire Interlagos, Kyalami, Zeltweg. Ognuna rispecchia a grosse linee la rispettiva appartenenza geografica. La prima, con il Brasile nelle gambe, è una samba rivisitata. La seconda, in odor di Sudafrica, più notturna e romantica, è dominata dal sassofono. La terza, ragionata come l’Austria, riserva una piacevole sorpresa: gli echi field recording di auto in corsa.
Sul lato B, alla più spensierata Dijon segue la delicata Turbotrenta. Il funk e jazz più caldi ed eleganti sgomitano prepotenti in Zandvoort e Monza, gli ennesimi due brani realizzati per celebrare al meglio l’ex Gran Premio d’Olanda, dismesso dal 1985, e l’attuale d’Italia, tra i più longevi della storia. Se Jaguar spinge ancora di più sull’acceleratore, la placida Pajaros Tropicales restituisce, infine, l’elemento saudade in chiave tanto orchestrale quanto argentina. Sonorità tanto potenti quanto convincenti. Dal sibilo del propulsore turbo arrivano dritte al cuore.