Un’album di dieci tracce per un vero e proprio viaggio retro futurista. Siamo in Francia sul finire degli anni settanta, quando gruppi come Rockets, o Space si facevano le ossa sui sintetizzatori, quando anche Cerrone si lasciava contaminare dalla disco americana.
L’area d’azione dei musicisti che crearono questo disco è differente, ma il periodo storico li avvicina tutti, per quel sentimento illusorio di conquista imminente dello spazio, che spingeva tutti a sperimentare, ad incrociare le ritmiche, le tecnologie con la poesia compositiva.

Si potrebbe definire Space Rock, per l’ombra del suono alla Pink Floyd che si respira, ma anche disco sensuale per gli spoken word alla Max Berlin, come anche progressive per l’uso sfrenato dei sintetizzatori…un’opera singolare con tracce suonate sia al mitico Cosmic, che in tempi più recenti da DJ Harvey, suoni che richiamano gli Emperor Machine o Joakim.
Se si ascoltano “Black Safari”, viaggio malinconico e ritmatissimo tra arpeggi e suoni in eco, oppure “Dreams In The Wind”, con un beat degno di James Brown, ma ricco di atmosfere lunari, si entra alla perfezione nel mondo interstellare dell’album.

Vale la pena prestare attenzione anche ai brani “Fire Zone”, in bilico tra Goblin e Kraftwerk, o “Sight On The Sea” un brano synth pop che ricorda i migliori gruppi new wave che arriveranno anni dopo, ma anche agli onirici “Spatial feeling” e ” No Words”, degni del miglior incontro tra Jean-Michel Jarre e Morricone.

L’unica nota negativa di questo disco, è che la media dei brani non supera i tre minuti, ma di fronte alle atmosfere che si ricreano nell’ascolto, è un dettaglio.