Parlare dei Neuronium significa portare alla luce uno dei gruppi di elettronica più longevi e meno osannati della storia.
Tutto ebbe infatti inizio a Barcelona, in Spagna (chi l’avrebbe mai detto) nel 1976, per mano del belga Michel Huygen, un polistrumentista espertissimo di synth di vario genere, e di Santi Picó, chitarrista rock/jazz.
L’incontro fu sicuramente qualcosa di magico ed assoluto, se pensate che ciò che ne uscì fuori supera ormai i 30 anni di attività con qualcosa come 40 album prodotti, il tutto, signore e signori, rimanendo nell’ombra, riuscendo, con la magia che li ha sempre contraddistinti a nascondersi, aggiungiamo noi, dietro la luna.
Quello di cui però vi vogliamo parlare è il loro disco d’esordio.
Siamo nel 1977, la corrente tedesca pompa a gonfie vele sondando ad ampio spettro le varie derive elettroniche, parlando geometrici linguaggi con i Kraftwerk ed esplorando sua vastità “il cosmo” con gruppi come Tangerine Dream o Vangelis. Ed è proprio partendo da questi ultimi che sembra forgiarsi il suono che caratterizza “Quasar 2C361”.
Dalla prima, omonima traccia, già si evince la potenzialità espressiva dei Neuronium, che iniziano il viaggio portando il suono della chitarra di Carlos Guirao in un paradiso di synth ed insolazione, lasciando spazio ad inserti soffusi di flauto ed ancora chitarra acustica.
Siamo già in un paesaggio puramente balearico, in un sogno dove lo stile non ha più senso di esistere, dove esiste l’anima che prende il sopravvento sul corpo, adagiandolo, su una sinusoide man mano più marcata e celestiale che accompagna le magiche tessiture fino alla fine di questi 26, miracolosi minuti.
Quel che c’è di spaventosamente bello nelle dinamiche dei Neuronium è senz’altro la gestione dei flussi sonori, oltre che dei suoni, quel crescendo emotivo che sembra giungere lentamente verso l’apice, ma che in realtà non trova mai fine, lasciando nell’ascoltatore una tensione epico emotiva di proporzioni bibliche.
Lo potete provare sulla vostra pelle continuando nell’ascolto, facendo scorrere il disco sulla seconda traccia, “Catalepsia”, un brano dove se avete voglia di tirar già una lacrima nessuno ve ne negherà il sacrosanto diritto. Ancora chitarra, ancora stranianti sottofondi melodici, ancora l’arpeggio di synth ad imperversare verso metà del brano, ma tanta, tanta , tanta magia.
Quel che è stato scritto pensiamo possa bastare a far strabordare la cesta della curiosità, ma perchè non anticiparvi che il piacere durerà ancora per altri due brani?
A questo punto, buon viaggio.