La storia di Paul Speer arriva fino ai giorni nostri. Nato nell’Idaho qualche tempo fa, è stato da subito avviato all’utilizzo della chitarra, forte di un contorno familiare fatto di musicisti ed amanti della musica. Non passa molto che quel suono che studiava con ossessione si tramutò in una voglia di allargare i propri orizzonti all’elettronica. Iniziarono così gli studi di ingegneria del suono, mettendo mano a complessi banchi mixer e sintetizzatori vecchia maniera Speer comincia a sperimentare soluzioni ambient cariche di melodia. Il suo scopo era quello di dar vita ad un suono che amalgamando chitarra, elettronica e field recordings, disegnasse panorami uditivi al servizio dell’immaginazione.
Fondamentale fu per Paul l’incontro con David Lanz nel 1980 a Los Angeles. I due cominciarono a condividere sogni, aspettative e visioni, cominciando a muovere i primi passi verso quella che sarà poi una macchina New Age di grande importanza per la storia: David Lanz & Paul Speer che con i loro 2 album “Natural States” e “Desert Vision” riempirono l’aria di idee musicali creative ed allo stesso tempo ricche di spiritualità.
C’è però un disco fondamentale nella carriera di Speer (che oggi dirige uno studio di registrazione e masterizzazione a Los Angeles) ed è proprio il suo album d’esordio, un vinile rimasto sepolto per molto, troppo tempo.
Collection 983: Spectral Voyage ebbe una discreta distribuzione negli states, eravamo nel 1984, ma per il resto ben poco, è forse per questo che al momento le copie in commercio sono veramente poche, ma cercando bene ancora si riesce a cavare il ragno dal buco.
Un disco importantissimo perchè vede uno Speer non ancora completamente immerso nell’universo New Age, ed in qualche modo legato a passate influenze psichedeliche che troviamo intatte in tutta la loro bellezza in un brano a dir poco fondamentale come “Allegro”. Qui il suono della chitarra vortica descrivendo meraviglie ipnotiche appena accarezzate dai synth, un movimento forte, trascinatore ed epico nelle punte più melodiche. Sono otto minuti di puro godimento immersi in un suono rotondo, caldo ed ancorato alle radici più rock dell’uomo.
In tutti gli altri brani è forse meno forte questa influenza, ma sicuramente la chitarra continua a giocare un ruolo importantissimo, anche se già più orientata alla calma delle future soluzioni new age.